
Il decreto bevande, ratificato nell'ultima sessione del Consiglio, disciplina la cessione di bibite o alcolici verso l'Italia con obbligo di addebito dell'IVA per prevenire fenomeni distorsivi. “Abbiamo introdotto meccanismi – spiega Marco Gatti, Segretario di Stato per le Finanze – che senza gravare inutilmente sugli operatori onesti ci permettono di avere una visione più dinamica e controllata di un settore sensibile”.
Elemento è l'introduzione di un visto di conformità attestato da un professionista qualificato iscritto all'albo dei Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili o al Registro dei Revisori Contabili. Visto che ha la funzione di segnalare all'Ufficio Tributario determinate condizioni o superamenti di soglia, consentendo un monitoraggio più rapido rispetto ai controlli ordinari. L'introduzione di questa figura, precisa però la Segreteria di Stato, non delega né svilisce in alcun modo l'autorità e l'operatività degli uffici pubblici preposti ai controlli.
Norma che ha però lasciato perplesso il Movimento Rete: “Il decreto – scrivono – è arrivato colpevolmente tardi, quando il danno ormai è fatto”. Il fatturato dell'export nel settore bevande, evidenzia il Movimento, ha numeri da boom economico o da truffa: “64 milioni di euro nel 2022, 104 nel 2023, addirittura 170 l’anno scorso”. Il testo prevede l’IVA prepagata sopra a certi livelli di fatturato e ad un certo numero dei dipendenti, ma definiti definiti parametri e scaglioni secondo Rete aggirarlo “è un gioco da ragazzi”: “Basta assumere parenti e amici per arrivare al tetto dei 5 dipendenti e tornare a fatturare milioni in esenzione”. I disonesti, aggiunge Rete, si staranno già attrezzando per bypassare il vincolo, mentre chi ha sempre operato con correttezza si troverà a dover prepagare una imposta italiana e a subire la concorrenza sleale dei mascalzoni.