Di nuovo si pronuncia il Collegio Garante della Costituzionalità delle Norme sulla ennesima istanza presentata da forze politiche dell’opposizione.
Questa volta si tratta di un presunto conflitto di attribuzione fra Poteri dello Stato, sollevato a seguito della nebulosa vicenda della Commissione Giustizia, che – fra le altre cose – ha portato i Consiglieri di minoranza a gridare al “Colpo di Stato!”, con un comunicato stampa congiunto.
La conferma che di colpo di Stato non si tratta, giunge nella giornata di ieri, 29 novembre 2017, quando il Collegio Garante si è pronunciato dichiarando inammissibile il ricorso presentato dal Presidente e dai Commissari dimissionari della Commissione Giustizia nonché firmato dai capigruppo delle forze politiche di opposizione.
I Garanti hanno, in primo luogo, sollevato forti dubbi circa l’impostazione del ricorso sotto il profilo soggettivo, ravvisando una carenza di legittimazione attiva e passiva, ossia un sostanziale errore nell’individuazione dei soggetti cui, per legge, spetterebbe essere parti del giudizio in questione. Dubbi che, nella lettura dell’ordinanza, vengono palesati attraverso una serie di domande volte a chiarire l’intento dei ricorrenti.
La prima fondamentale domanda: chi, esattamente, ha promosso questo ricorso e in base a quale norma?
La Legge Qualificata 55/2003 dispone che il ricorso debba essere presentato “dal presidente degli organi costituzionali e collegiali, a seguito di apposita deliberazione”.
Ma nel ricorso non vi è traccia della deliberazione dell’organo collegiale che intende rivendicare i propri poteri; di quale organo si tratti, poi, non è dato saperlo e su questo anche i Garanti si interrogano: Commissione Giustizia? Ufficio di Presidenza? Consiglio Grande e Generale? I singoli Commissari I dubbi rimangono.
La seconda domanda: contro chi è stato sollevato conflitto di attribuzioni?
Dopo un notevole sforzo interpretativo della volontà dei ricorrenti, il Collegio arriva ad affermare che “il presente conflitto non può che essere inteso come rivolto innanzitutto ai Capitani Reggenti, in qualità di Presidente del Consiglio Grande e Generale”.
L’analisi fino a qui condotta porta a delineare un quadro che definirlo “inquietante” è poca cosa: con questo ricorso, in sostanza, singoli Commissari hanno inteso rivendicare un potere di loro (pretesa) spettanza nei confronti della Reggenza, che lo avrebbe indebitamente esercitato. Di quale potere si tratti è un altro mistero che i Garanti hanno tentato di svelare.
Grande difficoltà, infatti, hanno avuto i Garanti nell’individuazione dell’oggetto del ricorso.
Non è dato comprendere cosa esattamente sia stato rivendicato, dal momento che l’oggetto del conflitto di attribuzioni è l’asserita “violazione del segreto istruttorio con indebita interferenza del Consiglio Grande e Generale sulle attribuzioni della magistratura, con conseguente indebita ingerenza sul suo operato al fine di condizionarne l’esercizio del potere giudiziario”.
Conclude il Collegio affermando che “a quanto emerge dal ricorso, e pur nella formulazione generica e anodina, i ricorrenti non rivendicano la lesione di alcuna attribuzione propria”.
La maggioranza intende esimersi da ogni giudizio in merito a una vicenda come la presente, che nulla ha di positivo o di vittorioso: quando nemmeno i rappresentanti delle Istituzioni comprendono quali attribuzioni spettino loro in base alle Leggi costituzionalidella Repubblica, è una sconfitta per tutti.
Significativo, però, è che chi accusa altri di aver usurpato un Potere a un Organo dello Stato, per primo si arroghi il diritto di esercitare attribuzioni che in nessun modo gli spettano.
Questa volta si tratta di un presunto conflitto di attribuzione fra Poteri dello Stato, sollevato a seguito della nebulosa vicenda della Commissione Giustizia, che – fra le altre cose – ha portato i Consiglieri di minoranza a gridare al “Colpo di Stato!”, con un comunicato stampa congiunto.
La conferma che di colpo di Stato non si tratta, giunge nella giornata di ieri, 29 novembre 2017, quando il Collegio Garante si è pronunciato dichiarando inammissibile il ricorso presentato dal Presidente e dai Commissari dimissionari della Commissione Giustizia nonché firmato dai capigruppo delle forze politiche di opposizione.
I Garanti hanno, in primo luogo, sollevato forti dubbi circa l’impostazione del ricorso sotto il profilo soggettivo, ravvisando una carenza di legittimazione attiva e passiva, ossia un sostanziale errore nell’individuazione dei soggetti cui, per legge, spetterebbe essere parti del giudizio in questione. Dubbi che, nella lettura dell’ordinanza, vengono palesati attraverso una serie di domande volte a chiarire l’intento dei ricorrenti.
La prima fondamentale domanda: chi, esattamente, ha promosso questo ricorso e in base a quale norma?
La Legge Qualificata 55/2003 dispone che il ricorso debba essere presentato “dal presidente degli organi costituzionali e collegiali, a seguito di apposita deliberazione”.
Ma nel ricorso non vi è traccia della deliberazione dell’organo collegiale che intende rivendicare i propri poteri; di quale organo si tratti, poi, non è dato saperlo e su questo anche i Garanti si interrogano: Commissione Giustizia? Ufficio di Presidenza? Consiglio Grande e Generale? I singoli Commissari I dubbi rimangono.
La seconda domanda: contro chi è stato sollevato conflitto di attribuzioni?
Dopo un notevole sforzo interpretativo della volontà dei ricorrenti, il Collegio arriva ad affermare che “il presente conflitto non può che essere inteso come rivolto innanzitutto ai Capitani Reggenti, in qualità di Presidente del Consiglio Grande e Generale”.
L’analisi fino a qui condotta porta a delineare un quadro che definirlo “inquietante” è poca cosa: con questo ricorso, in sostanza, singoli Commissari hanno inteso rivendicare un potere di loro (pretesa) spettanza nei confronti della Reggenza, che lo avrebbe indebitamente esercitato. Di quale potere si tratti è un altro mistero che i Garanti hanno tentato di svelare.
Grande difficoltà, infatti, hanno avuto i Garanti nell’individuazione dell’oggetto del ricorso.
Non è dato comprendere cosa esattamente sia stato rivendicato, dal momento che l’oggetto del conflitto di attribuzioni è l’asserita “violazione del segreto istruttorio con indebita interferenza del Consiglio Grande e Generale sulle attribuzioni della magistratura, con conseguente indebita ingerenza sul suo operato al fine di condizionarne l’esercizio del potere giudiziario”.
Conclude il Collegio affermando che “a quanto emerge dal ricorso, e pur nella formulazione generica e anodina, i ricorrenti non rivendicano la lesione di alcuna attribuzione propria”.
La maggioranza intende esimersi da ogni giudizio in merito a una vicenda come la presente, che nulla ha di positivo o di vittorioso: quando nemmeno i rappresentanti delle Istituzioni comprendono quali attribuzioni spettino loro in base alle Leggi costituzionalidella Repubblica, è una sconfitta per tutti.
Significativo, però, è che chi accusa altri di aver usurpato un Potere a un Organo dello Stato, per primo si arroghi il diritto di esercitare attribuzioni che in nessun modo gli spettano.
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