11 febbraio 1929: firmati i Patti Lateranensi
I rapporti vennero ristabiliti quasi sessant'anni dopo, in piena epoca fascista. Nell'estate del 1926 si avviarono delle trattative condotte per l'Italia dal consigliere di Stato Domenico Barone e per la Chiesa dall'avvocato Francesco Pacelli. Nelle ultime fasi, agli stessi subentrarono rispettivamente il capo del governo Benito Mussolini e il segretario di Stato vaticano, cardinale Pietro Gasparri. A questi ultimi spettò di formare l'accordo dell'11 febbraio, nella Sala dei Papi del palazzo di San Giovanni in Laterano. Il trattato (ratificato con la legge 810 del 27 maggio 1929) riconosceva innanzitutto la personalità giuridica internazionale dello Stato della Città del Vaticano, mentre quest'ultimo riconosceva il Regno d'Italia e Roma quale sua capitale.
I punti più controversi, che rispetto alle Guarentigie segnavano un regresso nella tutela della libertà religiosa, riguardavano l'indicazione del cattolicesimo quale religione di Stato e l'obbligatorietà dell'insegnamento della dottrina cristiana nelle scuole medie ed elementari. Pur tra il dissenso delle correnti laiche dell'Assemblea Costituente, i Patti vennero assorbiti all'interno della Costituzione del 1948, nello specifico con l'articolo 7, nonostante l'incompatibilità con i principi della Costituzione repubblicana. Istanze raccolte nel nuovo Concordato del 1984, sottoscritto dal presidente del Consiglio Bettino Craxi e dal segretario di Stato Agostino Casaroli. Con esso da un lato si eliminavano i punti più controversi (il riconoscimento di "religione di stato" e l'insegnamento obbligatorio cambiato in facoltativo); dall'altro si facevano importanti concessioni alla Chiesa, tra cui il finanziamento attraverso il meccanismo dell'otto per mille e il diritto a istituire scuole di ogni ordine e grado.