20 agosto 1968: repressa la Primavera di Praga
La Cecoslovacchia era un paese avanzato economicamente e culturalmente, la classe operaia veniva da una tradizione comunista e socialdemocratica: le condizioni ideali per l’avvio di un processo di rinnovamento democratico delle società socialiste. Il Socialismo dal volto umano di Alexander Dubcek prevedeva il riconoscimento delle libertà politiche, culturali e sindacali, la separazione fra partito e governo, la parità fra le diverse componenti etniche del paese.
La Primavera cecoslovacca poteva contare sull’appoggio del più forte Partito Comunista d’occidente, quello italiano, come espresso chiaramente da Pietro Ingrao nel suo intervento alla Camera dei deputati nella seduta del 29 agosto del 1968: “Non solo non abbiamo taciuto, ma abbiamo agito e cercato di pesare; e di fronte all’intervento militare dei cinque paesi del patto di Varsavia abbiamo espresso il nostro grave dissenso e la nostra riprovazione”.
Seguì un periodo di “normalizzazione”. A Dubcek subentrò Gustav Husak che in breve tempo annullò tutte le riforme del suo predecessore. Il partito comunista organizzò un ferreo controllo sulla società. Non mancarono però casi di protesta: su tutti il suicidio del giovane studente Jan Palach che il 19 gennaio 1969 si diede fuoco in piazza San Venceslao, al centro di Praga, ai piedi della scalinata del Museo Nazionale. Morì dopo tre giorni di agonia e al suo funerale presero parte più di seicentomila persone provenienti da tutto il paese.