Franco Vannozzi, di Pisa, 26 anni; Gianmarco Manca di Alghero, 32 anni; Sebastiano Ville, siciliano; Marco Pedone, pugliese. C’è chi parla di strage annunciata, chi invita a riflettere sul ritiro, chi – al contrario - chiede di non vanificare il sacrificio. L’uccisione dei 4 alpini italiani in Afghanistan porta inevitabilmente la politica a riflettere su una missione che dal suo inizio nel 2004 ha strappato a 35 famiglie i loro cari. Tutti ammazzati in agguati nella tana dei terroristi, tra la polvere e le montagne. A fare saltare in aria il blindato Lince di scorta a 70 camion civili sul quale viaggiavano gli alpini, un ordigno rudimentale ma potentissimo. Era già successo altre volte, ma il mezzo aveva retto. Questa volta no. Dopo l’esplosione, lo scontro a fuoco. I militari italiani, ha sottolineato con orgoglio il comando del contingente, hanno messo in fuga gli aggressori. Ma l’agguato ha ottenuto il suo tributo di sangue: a terra c’erano cinque soldati, tutti appartenenti al settimo Alpini di Belluno. Quattro di loro erano morti. Luca Cornacchia, 31 enne dell’Aquila, ferito ma non in pericolo di vita, è stato invece trasportato in ospedale. Le famiglie delle vittime si sono chiuse nel loro dolore. Chi ha figli o fratelli in luoghi di guerra convive quotidianamente con la paura. Ma alla morte nessuno è preparato, lo sgomento investe come un pugno nello stomaco. L’Italia piange, ed aspetta il rientro in patria dei corpi dei suoi figli. Nel video l'intervista al Ministro della Giustizia, Angelino Alfano
Monica Fabbri
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