"E' vero che fra i laureati italiani dai 25 ai 34 anni la disoccupazione, tra il 2008 e il 2012, è aumentata del 46%. Un dato molto allarmante, ma tra i diplomati della medesima fascia di età, nello stesso periodo, è cresciuta dell'85%. E prendendo in esame l'intero arco della vita lavorativa, pur con le difficoltà iniziali di inserimento, la laurea ha garantito finora migliori esiti occupazionali rispetto al diploma di scuola secondaria superiore (oltre 12 punti percentuali), migliori retribuzioni (+50%) e maggiore corrispondenza tra competenze richieste e quelle possedute nello svolgimento delle proprie mansioni". Così Andrea Cammelli, direttore di AlmaLaurea, consorzio di 64 atenei italiani per avvicinare la ricerca di lavoratori delle imprese e i laureati, risponde all'allarme lanciato da Ignazio Visco. In Italia, ha detto ieri il governatore di Bankitalia al X Forum del Libro Passaparola, a Roma, "studiare conviene meno" che negli altri Paesi Ue perché nel 2011 (dato Eurostat) "per i laureati tra i 25-39 anni, la probabilità di essere occupati era pari a quella dei diplomati (73%) e superiore di soli 13 punti percentuali a quella di chi aveva conseguito la licenza media". "Questi allarmi sono legittimi - risponde il professor Cammelli - Ma il nostro Paese, a partire da una spesa per l'istruzione e la ricerca universitaria decisamente inferiore alla media Ocse ed europea, negli ultimi anni è stato tra i pochi ad averla ulteriormente ridotta in misura sensibile. Eppure in Italia, nel 2011, la percentuale di laureati di 30-34 anni sul complesso della popolazione è pari al 20,3%; una quota ancora molto distante dagli obiettivi europei fissati per il 2020 (40%) e dalla media UE (34,6%)". Fra gli occupati non sono solo i laureati ad essere poco presenti, mostrano le indagini 2012 di AlmaLaurea: lo sono infatti anche i diplomati, mentre risulta elevata la quota di lavoratori in possesso al massimo della sola licenza media. Una presenza, quest'ultima, che in Italia raggiunge il 35,8%, contro una media EU27 del 22% e che in Germania scende al 13,5 per cento.
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