Al suo avvocato ha detto “di sperare per il meglio, ma di aspettarsi il peggio”. Ammesso che ci sia qualcosa di peggiore delle condizioni in cui è costretta a vivere, nel carcere Insein a Rangoon, dove la leader dell’opposizione birmana - Premio Nobel per la Pace e Medaglia d’Onore del Congresso degli Stati Uniti, si trova dal 14 maggio e dove ha festeggiato i suoi 64 anni. Sicuramente ci rimarrà fino all’11 agosto, data dell’ennesimo rinvio voluto dalla giunta militare per dare parvenza legittima ad un sopruso evidente: tenere quasi 3 mesi una persona in carcere in attesa di essere giudicata viola infatti tutti i diritti umani e le convenzioni internazionali. E’ accusata di avere ospitato un americano che ha raggiunto la sua abitazione a nuoto e che ha così fornito il pretesto per contestarle la violazione delle disposizioni degli arresti domiciliari cui è costretta da 14 anni. Ma la vera colpa di San Su Kyi è guidare l’opposizione al regime e aver vinto nel 1990 le elezioni: quella che è considerata la più grande statista del XX secolo, tuttavia, nonostante gli appelli, gli striscioni, l’impegno della comunità internazionale non ha mai avuto la possibilità di governare. E’ stata costretta alla prigionia prima, ai domiciliari poi, ora di nuovo alla prigionia. Se l’11 agosto sarà giudicata colpevole, rischia 5 anni di carcere: in caso di condanna l’ unica richiesta di San Suu Kyi è quella di poter avere, nella prigione - lagher, libri da leggere.
Sara Bucci
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