“Vorrei che tutti coloro che hanno contribuito a raggiungere questo traguardo fossero presenti qui oggi”: era emozionato il ministro degli esteri francese Laurent Fabius, quando ha presentato l'accordo, raggiunto dopo 13 giorni di negoziati. L’intesa – ha detto - limita il riscaldamento a un livello “ben al di sotto dei 2° entro il 2020”. I piani nazionali per il taglio dei gas serra saranno sottoposti a revisione ogni 5 anni. Previsto, poi, un fondo da 100 miliardi di dollari per i Paesi in via di sviluppo da qui al 2020. Ma questo sarà solo un punto di partenza: “un nuovo obiettivo, con un'altra cifra, dovrà essere stabilito nel 2025”, ha ricordato il Presidente della COP 21. Accanto a Fabius il segretario delle Nazioni Unite Ban Ki-moon e Francois Hollande. Non tutte le richieste – ha detto il Presidente francese - sono state soddisfatte ma saremo giudicati per un testo non per una parola; non per il lavoro di un giorno ma per un accordo che vale per un secolo”. L'ultimo passo, a questo punto, è l'ok dell'assemblea plenaria; in ritardo, rispetto a quanto preventivato. Evidentemente ci sono ancora problemi da sistemare, risolvibili – si spera - in riunioni dietro le quinte. La posta in palio, del resto, è enorme. Ma il giudizio di Greenpeace International è comunque critico. “Gli obiettivi nazionali di riduzione delle emissioni non sono sufficienti – ha affermato il direttore esecutivo dell'Organizzazione -, e l'accordo di Parigi non fa nulla per cambiare questa cosa. Se davvero vogliamo raggiungere l'obiettivo di emissioni nette zero entro la seconda metà del secolo, dobbiamo azzerare quelle delle fonti fossili entro il 2050”.
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