Coronavirus: le risposte dell’esperto alle domande che tutti ci poniamo. Presto un’analisi del sangue farà la differenza
Benedetta de Mattei ha intervistato il prof. Maurizio Sanguinetti – Direttore del dipartimento di Scienze di laboratorio e infettivologiche del Policlinico Agostino Gemelli e Professore ordinario di Microbiologia all’università Cattolica di Roma per capire la situazione attuale e cosa ci attende.
Professore com'è la situazione attuale?
La situazione sta sicuramente migliorando. Si cerca sempre questo famoso “picco” ma in realtà è bene capire che con il suo raggiungimento non si conclude l’epidemia. Inoltre il concetto di picco epidemico funziona in situazioni “normali”, cioè se non sono state prese misure che modificano il normale sviluppo, cosa che fortunatamente non ci riguarda perché le misure restrittive in atto modificano in modo sostanziale lo scenario epidemiologico. Questo comporta un appiattimento e un’estensione della famosa curva che quindi sale più piano. Anche l’enfasi che viene posta sui report giornalieri, che naturalmente comprendo, non è del tutto corretta perché questi fenomeni si ragionano su periodi almeno settimanali, se non maggiori. Il numero assoluto dei contagi si è comunque senz’altro ridotto, più o meno stabilizzandosi, e questo vuol dire che le misure restrittive funzionano e impediscono una rapida diffusione del virus.
Al momento dunque il virus si diffonde meno e più lentamente e l’appiattimento della curva che vediamo è quanto si voleva ottenere, poiché in questo modo soprattutto le strutte ospedaliere assorbono l’impatto dei malati in modo più razionale.
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Cosa dobbiamo aspettarci dal futuro? Quanto durerà ancora a suo avviso questa epidemia?
Ovviamente se la curva si appiattisce tendenzialmente si allarga e la storia quindi probabilmente durerà ancora. Si utilizzano molto i modelli matematici, che sono importanti ed evoluti, ma ci sono delle variabili, come ad esempio le restrizioni e l’aderenza ad esse, che non possono essere computate in un modello matematico. Per tale ragione poter fare una previsione esatta sulla durata non è facile, ma ci auguriamo tutti che entro metà maggio tutto questo finisca.
Si parla di fare a tappeto su tutta la popolazione un’analisi del sangue, cosa potrà dirci questo test?
A seconda della domanda che ci si pone si sceglie il test. Si può certamente analizzare la positività o meno al virus, e queste informazioni si possono già vedere con il famoso tampone, mentre se si desidera sapere come è stata la diffusone del virus sul territorio nazionale lo screening che si effettuerà sarà per la ricerca degli anticorpi. Attraverso gli anticorpi è infatti possibile sapere se si è venuti a contatto con il virus. Sono dunque due esami complementari. L’analisi degli anticorpi non è ancora possibile effettuarla ma lo sarà presto, non appena alcune licenze saranno validate dall’Istituto Superiore di Sanità o dal Ministero della Salute. Sarà un esame relativamente semplice, che probabilmente si potrà fare anche nei laboratori privati.
Se si è negativi agli anticorpi non è detto che il virus sia in incubazione, quindi nella risposta anticorpale bisogna sempre considerare il cosiddetto “periodo finestra”. Questa cosa è stata molto studiato nell’Hiv: c’è un periodo in cui la persona ha il virus ma non gli anticorpi e in questo periodo il test anticorpale non funziona, è un falso negativo, e questo è normale. Nella fase precoce dell’infezione dunque il test più utile e sicuramente la ricerca del virus e quindi il tampone.
Se abbiamo gli anticorpi al Covid-19 siamo immuni o possiamo riprendercelo?
Certezze non ne abbiamo perché il Covid-19 è una malattia giovanissima, di soli 5 mesi. E’ vero che la situazione è altamente emergenziale ma è anche chiaro che la comprensione necessità di tempo Bisogna dunque ancora approfondire se questa infezione dia un’immunità permanente o meno. Io non voglio fare il terrorista, e magari in questo caso sarà diverso, ma tipicamente i virus respiratori non danno un’immunità permanente. Ma un concetto importante nei virus respiratori è che se si è venuti a contatto con l’infezione, e si è sviluppata una risposta immune, normalmente la reinfezione è molto più leggera. Quando il premier Conte dice che dobbiamo convivere con il Covid-19 a mio avviso dice una cosa vera perchè questo virus probabilmente diventerà parte della nostra realtà come tanti altri. E’ chiaro che essendo nuovo il nostro sistema immune non lo ha mai visto e quindi la reazione è quella che vediamo, estremamente problematica, però nel tempo conviveremo con questo virus, impareremo a gestirlo e i danni saranno sicuramente minori. Questo andrà ovviamente fatto mettendo in campo diverse strategie: la prima è sicuramente quella vaccinale che è molto importante e necessaria ma secondo me non risolutiva al 100%; poi sarà fondamentale un approccio diagnostico tempestivo, che stiamo mettendo in campo perché stiamo capendo come deve funzionare, e infine un approccio terapeutico per quei, si spera pochi, pazienti che in futuro possono sviluppare una forma grave della malattia. Questo tridente ci permetterà sicuramente di controllare meglio nel medio-lungo periodo quest’infezione.
Molte persone sintomatiche non hanno la possibilità di fare il tampone, perché?
In Italia, per motivi non clinici ma fondamentalmente economici, è stata fatta la scelta di concentrare le microbiologie, ossia di utilizzare un sistema in cui vi sono tanti piccoli centri periferici, che fanno una diagnostica di base, e un grande laboratorio centrale a cui si inviano i campioni per le cose più complesse. E adesso a mio avviso stiamo pagando il conto di quest’approccio perché abbiamo pochi centri in grado di fare una diagnostica di secondo livello come questa e chiaramente non siamo preparati ad una massa di test da eseguire estremamente ampia. In Corea ad esempio cono stati eseguiti tanti test, guidati da un principio di tipo sintomatologico, e sono riusciti a farne tantissimi, isolando molti più casi, perché hanno almeno 500 grossi centri sul territorio e questo li ha permesso di fare circa 20.000 test al giorno (che dividendo per 500 sono solamente 40 test singoli al giorno, che per un laboratorio non è nulla). Il problema è che invece in Italia non abbiamo 500 centri in grado di farli. Una delle lezioni per il futuro, che secondo me bisogna trarre del sistema sanitario italiano, è che il problema “malattie infettive” in Italia è totalmente sottovalutato e ora paghiamo le conseguenze. Si pensa che la parte clinica, ma soprattutto la parte diagnostica, sia una sorta di plus non fondamentale sul territorio e questo è un grave errore.
Molti scienziati dicono che i primi giorni dell’infezione sono molto importanti per evitare complicazioni.
E’ verissimo infatti è questo il problema. La prima settimana è sicuramente importante ma c’è un difetto di programmazione alla base. Ma bisogna ricordarsi che questa non sarà l’ultima epidemia di questo secolo, ce ne sono già state tre da coronavirus e ce ne sono ancora migliaia capaci di infettare l’uomo. E’ bene dunque organizzarsi in questo senso.
In caso di febbre si suggerisce di evitare medicinali come il nurofen e di assumere la tachipirina, è corretto?
All’inizio il problema è soprattutto la febbre quindi un farmaco come il paracetamolo va benissimo però bisogna contattare il medico di base per comunicarli i sintomi e laddove suggerito cercare di fare un test diagnostico. Quando si effettua un tampone bisogna sempre isolare la persona, in attesa del risultato e successivamente in caso di positività, perchè oltre a fare diagnosi è anche fondamentale tagliare le gambe all’epidemia perché naturalmente più le persone infette, anche quelle asintomatiche, sono in isolamento meno progredisce l’epidemia.
Benedetta de Mattei