Sono dati allarmanti quelli presentati dall'analisi di Confcommercio Rimini. Dal 2012 ad oggi le attività in riviera diminuiscono del 14% nelle zone centrali della città, passando da 811 a 697, e del 12% nelle aree più periferiche: 1.309 dieci anni fa, 1.143 nel 2012. Tra i settori che hanno risentito maggiormente delle crisi gli esercizi commerciali di prodotti specializzati: abbigliamento, calzature, cosmetici, prodotti non alimentari, con una diminuzione del 25%.
Pesante anche il calo dei negozi di articoli culturali e ricreativi: nelle zone esterne di Rimini passano da 106 a 67. Uno dei pochi commerci al dettaglio con segno positivo è quello delle farmacie, 13 in più negli ultimi dieci anni. Bene il settore della ristorazione. Rispetto al 2019, ultimo anno pre-covid, i ristoranti crescono del 13,8% passando da 181 a 206.
Differente la situazione a San Marino. Nel settore commercio, evidenzia la presidente di USC Marina Urbinati, gli ultimi dati parlano di crescita, ma vanno analizzati. “Non abbiamo ancora numeri precisi su quali siano i settori con segno più – spiega Marina Urbinati – la mia paura è che le nuove aperture non siano generalizzate ma solo in determinati settori”. "Sul turismo – aggiunge - abbiamo molte saracinesche chiuse e il problema più grande è la mancanza di un cambio generazionale”.
Il Segretario all'Industria Fabio Righi evidenzia il trend di crescita nel settore ma, dice, “non bisogna abbassare la guardia”. “Molto importante – aggiunge – creare sviluppo”.
In controtendenza rispetto Rimini il settore alberghiero e della ristorazione. “Quello sammarinese è un quadro stazionario tendente al ribasso – afferma Rossano Ercolani, presidente USOT – con illustre chiusure negli ultimi mesi”. Tra le cause, spiega, l'esplosione dei costi che ha ridotto la marginalità di guadagno per le attività e la mancanza di personale qualificato: “È fondamentale – rimarca - che la formazione torni alla base di tutto”.