Crisi demografica: sempre meno e sempre più anziani. Quale futuro? L’analisi dell’esperto
Francesco Maietta, Responsabile dell’Area Consumer Mercati Privati e Istituzioni del Censis discute le conseguenze della denatalità e le possibili soluzioni per invertire la rotta
Il mondo Occidentale sta affrontando una crisi demografica senza precedenti. Questo drastico calo della natalità ha implicazioni profonde per il futuro dell'Italia: in questa intervista, Francesco Maietta, Responsabile dell’Area Consumer Mercati Privati e Istituzioni del Censis, ci offre una panoramica dettagliata della situazione attuale, le proiezioni per il 2050 e le possibili strategie per affrontare questa emergenza. Dal sistema previdenziale in crisi alla crescente popolazione anziana, esploriamo le sfide del presente e del futuro.
Parliamo di denatalità, dott. Maietta. Inizierei chiedendole una veloce panoramica sulla situazione in Italia.
Il nostro Paese ormai da molti anni batte il record negativo annuale di nuovi nati: quest'anno siamo scesi sotto i 380mila. Se consideriamo che negli anni ‘60 sono nati anche oltre 1.000.000 di nuovi bambini in un anno, è evidente che siamo di fronte ad una crisi prolungata nel tempo e molto profonda.
Per avere un'idea nel concreto, secondo le vostre stime, quanti abitanti avrà l'Italia nel 2050 con questo trend?
Penso che già i dati del 2050 siano sufficienti per capire la potenza di quel che sta per accadere. Noi perderemo intorno a 4 o 5 milioni di persone, addirittura 8 milioni in età attiva. Quindi siamo destinati ad avere un restringimento della popolazione italiana molto consistente. Non solo: avremo un decollo degli anziani e - come dicevamo poco fa - una riduzione drastica delle persone in età attiva, quindi da un punto di vista demografico siamo di fronte a un cambiamento radicale. I numeri sono assolutamente autoesplicativi.
Il sistema previdenziale attuale quanto può reggere ancora con un trend come quello di questo momento?
Si tratta di un problema serio già per una parte di coloro che andranno in pensione nei prossimi anni, e che - ovviamente - nel futuro è destinato ad aggravarsi. Noi abbiamo costruito sistemi di welfare basati su una certa struttura demografica della popolazione, è chiaro che saremo costretti progressivamente a ripensarli. La natalità e la popolazione sono la base di un sistema economico solido nel tempo. Quindi lei sicuramente indica una problematica che nel futuro è destinata a diventare di nuovo rilevante.
L'immigrazione può essere una risposta alla denatalità? Pare che anche gli immigrati tendano a prendere i nostri stili di vita…
Sull’immigrazione il dibattito non può che essere molto politico. Da un punto di vista tecnico, questa cosa è in effetti vera: per quanto riguarda gli stili di vita e quindi anche la scelta del numero di figli da fare, esiste un fenomeno di avvicinamento tra le scelte e i comportamenti degli immigrati e degli italiani. Quindi, nel tempo, si sta effettivamente verificando questo fenomeno di avvicinamento degli stili di vita.
E' irreversibile questa curva di denatalità?
Sarebbe bello non applicare la parola irreversibile a un fenomeno sociale. E' chiaro che sono dei cambiamenti che richiedono tempo. Cambiare la natalità di un Paese richiede azioni prolungate, quindi non è irreversibile, ma certo ci stiamo muovendo molto tardi. La demografia è una delle poche scienze che è in grado di prevedere il futuro in modo certo. Lo potevamo prevedere vent'anni fa, il Censis lo aveva più volte detto. Oggi è più difficile, ma non è irreversibile.
Quali sono secondo lei le misure e i modelli cui ispirarsi per invertire la tendenza?
Ci sono Paesi in cui la natalità nel tempo è sicuramente andata meglio che in Italia. Il caso che tutti citano è quello della Francia, dove politiche pro-natalità sono state attuate già negli anni ‘60 e ‘70. E' chiaro che noi dovremmo costruire un nostro modello, tipicamente italiano. In molti ambiti del welfare ci siamo riusciti. Questo è un altro degli ambiti. Le misure sono abbastanza note, le stesse associazioni delle famiglie con figli le hanno più volte sottolineate. La verità è che oggi fare un figlio in Italia è una scelta che avviene in un contesto ostile. Chiunque ha figli sa che gestirli - dal punto di vista del costo economico e dell'organizzazione di vita - è oggi una cosa molto complicata, che ricade fondamentalmente sulle donne. E' chiaro che è richiesta una riorganizzazione del sistema dei servizi ma - trattandosi di un aspetto di carattere culturale - anche di una valorizzazione della scelta della genitorialità. Ci sono una molteplicità di fattori in gioco e che - messi insieme - potrebbero invertire il trend nel lungo periodo.
Tornando a parlare di futuro, se il trend non venisse invertito potrebbe esserci in prospettiva una carenza di lavoratori? In determinati settori economici, di servizi, di welfare...
Credo che questo sia un problema già attuale. Ci sono settori economici che hanno difficoltà a trovare lavoratori. Naturalmente, c'è il problema demografico - i giovani sono pochi - ma c'è anche un problema di carattere culturale: è evidentemente cambiato il rapporto con il lavoro. Ma per dare una risposta secca alla sua domanda, relativamente a se ci saranno problemi di scarsità di offerta di lavoro nel futuro, direi proprio di sì.
Quali altri problemi deve fronteggiare un Paese sempre più anziano?
Il più evidente a tutti - poiché esiste una relazione diretta tra età che avanza e grado di diffusione della non autosufficienza, patologie croniche e invalidanti - è che noi oggi siamo totalmente privi di un sistema di supporto alle persone non autosufficienti. Se ne occupano direttamente le famiglie - che pagano circa 10 miliardi l'anno per le badanti - ed è un costo che ricade, anche in questo caso, per l'85% in termini di tempo e di impegno, sulle donne: mogli, sorelle, figlie. Quindi questo è chiaramente un altro problema fondamentale e primario: le famiglie chiamate a fronteggiare da sole i fabbisogni di assistenza delle persone fragili, anziane e non autosufficienti.
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