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Diario dal Congo

25 set 2010
Diario dal Congo
Diario dal Congo
In tarda mattina, insieme ad Ilaria ed Enzo, andiamo a fare qualche domanda a scuola. Così, giusto per avere una idea di come funziona e di quali siano gli ostacoli principali all'attività scolastica. La scuola gestita dalla missione è divisa in tre categorie: quella materna per i bimbi dai tre ai cinque anni, quella primaria, dai sei ai tredici anni e quella secondaria, per i ragazzi fino ai diciotto. In tutto sono iscritti circa un migliaio di allievi, provenienti in maggior parte dalle vicinanze. Il direttore aggiunto della scuola primaria è monsieur Pascal Musongo, diplomato in pedagogia. Un uomo alto e magro, dall'aria bonaria e molto capace nell'insegnamento (lo avevamo già seguito in classe qualche giorno fa). Ci spiega che l'attività didattica è soprattutto basata sulla memorizzazione delle lezioni scritte alla lavagna, poiché solitamente non è possibile fornire i libri di testo ai ragazzi. Solamente l'insegnante ne possiede uno; e in classe spiega le materie utilizzando delle carte didattiche. La quarta, la quinta e la sesta classe hanno però il libro di francese, ma solamente loro. Chiediamo a Pascal che cosa serva assolutamente alla scuola. Sottolinea che mancano alcuni strumenti, che sarebbero per noi a basso costo: ad esempio una bussola per le lezioni di geografia o la bilancia per spiegare il sistema metrico decimale. Il maestro è unico, preparato su tutte le materie. Tra queste ce ne sono alcune che da noi non esistono, come Educazione alla Vita e Igiene, con le quali gradualmente si insegnano il rispetto per la persona e la prevenzione delle malattie. Si inizia anche ad impartire una sorta di educazione sessuale che, come si è detto nei giorni scorsi, è utilissima ad arginare piaghe come l'AIDS. Ma quanto costa mandare un figlio a scuola? Le famiglie devono pagare la retta, comprare quaderni, penne e acquistare la divisa, che consiste in una gonna o pantaloni blu ed una camicia bianca con la stemma di Les Buisonnets. Pascal ci dice che il tutto si aggira sui 180 dollari all'anno: una cifra che per molte famiglie è comunque proibitiva e si stima che ben il 40% dei ragazzi delle vicinanze non riesca a seguire i corsi. La cosa è particolarmente grave, perché lo sviluppo del Paese si rende possibile solo attraverso la scolarizzazione. Chi purtroppo non riesce ad accedere al sistema scolastico avrà difficoltà enormi ad uscire dalla sacca di estrema povertà in cui si trova la maggior parte delle famiglie di Lubumbashi. Da quanto ho capito, però, sembra che in molti abbiano compreso quanto sia importante fare studiare i figli e, soprattutto le madri, fanno grandi sacrifici per racimolare la somma richiesta. All'importanza dell'alfabetizzazione poi, si aggiunge un aspetto molto più pratico e da non sottovalutare: gli studenti della scuola materna e primaria ricevono dalla missione un piccolo pasto quotidiano, che spesso per loro è l'unico del giorno. Così, nei mesi in cui la scuola è aperta - da settembre a giugno - i bambini riescono a sfamarsi, per ricadere però in fenomeni di denutrizione durante i mesi di chiusura. Monsieur Didier Lubunda è invece il prefetto della scuola
secondaria. Piccolo e molto più serioso del collega, ci fa comprendere immediatamente di essere un direttore severo e molto professionale, sia con gli insegnanti che con gli studenti. Sembra davvero incredibile quanto l'attività didattica sia controllata da quest'uomo, con valutazioni periodiche ai docenti ed un giudizio finale che deve essere assolutamente positivo. Ma non pensate che basti la sufficienza: se l'insegnante non raggiunge una sorta di eccellenza viene licenziato (il voto minimo è 'bon'). La media della scuola è comunque sul 'tres bon' ed è per questo che è considerata una delle migliori di Lubumbashi. La secondaria ha tre indirizzi: scientifico, informatico-commerciale e pedagogico. Una grave carenza è la mancanza dei laboratori: per capire come funziona un microscopio, ad esempio, occorre andare in ospedale, perché l'istituto non può permettersi l'allestimento di una stanza con questo tipo di attrezzature (che sarebbero per noi a buon mercato e dunque si potrebbe pensare di inviarle, anche usate). Chi termina la scuola secondaria può poi accedere agli studi universitari, che qui sono un vero investimento per il futuro, perché permettono di trovare un lavoro dignitoso. Essendo un paese dove chi ha studiato rappresenta ancora un'esigua minoranza, la meritocrazia funziona. L'accesso all'università, ci spiega infine monsieur Didier, è comunque condizionato dal voto di uscita dalla scuola: se è superiore al 60% del voto massimo l'iscrizione è possibile, se minore occorre ripiegare sull'Istituto Superiore, che fornisce degli approfondimenti più tecnici. E veniamo infine al clou della giornata. I frati carmelitani che abitano nella missione, cinque o sei ragazzotti ancora molto giovani, corrono davvero tanto. Corrono sul lavoro quando c'è da scavare o tirare i cavi, corrono se chiedi loro un favore, corrono quando c'è da imparare qualcosa che possa servire alla collettività. Ma corrono soprattutto quando vengono attaccati dalle api. Ah, 'ste benedette api! Verso sera un operaio ha svelato a qualcuno che la canna del camino della cucina era stata da tempo colonizzata dalle api. Quale migliore occasione per i nostri cacciatori di api? Ecco che allora ci si veste, si prende una scala, si sale sul tetto, si individua il favo, si cerca di staccarlo e posarlo nell'arnia per iniziare finalmente il faticoso allevamento. Sembra facile. Toglietevelo dalla testa. Le api africane si rivelano per quello che si era detto all'inizio: bestie ferocissime (dai, esagero un po') desiderose solamente di piantare il loro pungiglione in faccia a qualcuno. Iniziano così a volare rabbiose a destra e a sinistra, entrano nella maschera (???? ma come hanno fatto?) di chi voleva prenderle, rincorrono chiunque si trovi sulla loro strada. Finale: tutta l'area della missione diventa off limit e i poveri frati, ignari di tutto, devono difendersi come possono dall'attacco. Così iniziano la loro fuga lungo il viale alberato di manghi, dovendo anche fare attenzione a non inciampare nella tonaca. Questa sera, cadere, avrebbe voluto dire diventare dei puntaspilli umani.

Marco Sassi

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