Quattro anni e sei mesi di carcere. Una sentenza attesa, quella di Alberto Buriani, e che non passerà di certo inosservata in Italia. Dino Marchi, fratello della più nota Vanna, nel 2009 aveva chiesto alla BSI di prelevare 150.000 euro, trecento milioni delle vecchie lire che sette anni prima Francesco Campana, compagno della Marchi, aveva versato alla Banca agricola commerciale con un certificato di deposito al portatore. Titolo che Campana disse di aver smarrito dopo che sul Titano arrivò la rogatoria della procura di Milano per verificare la presenza di eventuali conti correnti collegati a Vanna, all'epoca indagata per truffa. Campana chiese quindi al giudice un provvedimento per rendere noto che la somma era sua. Quando nel 2009 si presentò una terza persona – in questo caso Dino Marchi - a ritirare il deposito al portatore partì la segnalazione all’AIF per riciclaggio. La difesa - che ha annunciato il ricorso in appello – ha puntato all’assoluzione di Dino, sottolineando che è lui e non Campana il titolare effettivo del rapporto, e che la sua colpa è stata quella di non aver fatto caso al certificato di deposito. La difesa ha sottolineato che tra i due fratelli ci sono solo rapporti familiari, non di affari. E che quei soldi non sono parte dei proventi illeciti della sorella e della nipote, ma il frutto del suo duro lavoro di ristoratore. Un uomo onesto, Dino - sostiene la difesa – travolto dagli scandali della sorella, da cui non riuscirà mai ad affrancarsi. Per tutti sarà infatti sempre e solo il fratello di Vanna Marchi. Quei 154.500 euro più gli interessi, in caso di condanna definitiva, entreranno nelle casse dello Stato.
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