Dopo l’emergenza sanitaria e quella economica la crisi rischia di essere psicologica. i consigli concreti dell’esperto per evitarla
Secondo uno studio recente in Italia si rischierebbe di passare da un’emergenza sanitaria ad una psicologica. Una delle questioni più pressanti in questo momento riguarda infatti l’impatto psicologico dell’isolamento sui cittadini.
Benedetta de Mattei ha intervistato la dott.ssa Daniela Chieffo – Neuropsicologo e Psicoterapeuta, Fondazione Policlinico Gemelli e Docente di Psicologia Generale presso l’Università Cattolica di Roma - per capire come affrontare le principali ripercussioni emotive causate da quarantena e distanziamento sociale in adulti e bambini.
Quali sono le principali ripercussioni emotive provocate da quarantena e distanziamento sociale sulla popolazione?
Innanzitutto è bene precisare che la prima angoscia è stata quella persecutoria, rivolta soprattutto al contagio della malattia e dei suoi rischi. Il primo momento di distanziamento sociale ha creato però un sentimento inedito di solidarietà e unità nazionale, quindi il trauma collettivo anziché separare nel dolore ha reso ancora più coese le nostre esistenze facendo si che si sviluppasse anche una sorta di narcisismo di squadra per contrastare una malattia che poi si è rilevata molto più aggressiva di quanto previsto. Nella prima fase dunque il NOI ha prevalso sull’IO. Ora siamo in un periodo di transito, in cui dobbiamo convivere con il virus, ed anche se avremmo delle restrizioni un po' meno marcate ci ritroviamo a dover fronteggiare questa seconda fase, divisi tra il desiderio di avere quanto prima una vicinanza con gli altri e l’angoscia di non sapere cosa succederà, perché la paura è che la malattia possa continuare a sorprendere. Il rischio è dunque quello di autolimitarci nella nostra libertà, ma credo che le persone in questo momento debbano imparare a convivere con il virus rispettando tutte quelle norme di sicurezza che ci aiutano anche ad avvicinarci alle persone a noi più care, che rappresentano inevitabilmente delle grandi risorse. Il trauma lascia dei frammenti che non possono essere smaltiti ed anche se dobbiamo convivere con questo virus dobbiamo cercare di superarlo, limitandoci ma riprendendoci anche piano piano la nostra libertà.
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Molte persone provano in questo periodo un forte senso di angoscia, come superarlo?
Sicuramente l’incertezza che stiamo vivendo e la mancanza di costrutto ci fanno vivere in uno stato d’ansia e paura, ma sono emozioni che non devono spaventarci perchè in realtà possono rappresentare anche delle risorse per il cambiamento. Il senso di solitudine e di restrizione può sicuramente accentuare fenomeni che in alcuni casi fanno già parte di noi, ma che possono diventare talmente dolorosi e pervasivi da non riuscire a gestirli. L’ansia paralizza l’individuo ma dobbiamo riconoscerla, dare un significato, per poter ripartire attraverso le nostre risorse.
Possiamo chiaramente provare una diminuzione della speranza e dell’ottimismo verso gli obbiettivi di vita ma l’altruismo, il coraggio e il supporto sociale sono degli ingredienti importantissimi perché ci aiutano in qualche modo a vedere questo periodo anche in una lettura positiva, di resilienza da vivere come un processo di maturazione. Rispetto al vissuto di un’esperienza stressante, che ci ha fatto scontrare anche con la nostra vulnerabilità, il processo di cambiamento, che inizia attraverso una crescita interiore, può in qualche modo anche contenere l’ansia e i sentimenti di depressione. In uno studio che stiamo svolgendo è emerso come anche negli adolescenti e nei giovani adulti il sentimento di depressione cominci ad accentuarsi quindi è chiaro che la risorsa familiare e delle relazioni più significative (anche non potendosi incontrare per il discorso del distanziamento) vanno favorite e attivate quanto più possibile. Per far fronte a questi sentimenti è importante che ci siano speranza, obiettivi di vita, ottimismo e costruzione di progetti. E’ bene vivere questi momenti con l’aiuto di legami significativi, che un individuo può scegliere, per potersi confrontare e rivelarsi anche debole. Il problema è che molte persone restano nella loro solitudine e sofferenza, non cercando aiuto, per non mostrare la loro fragilità mentre è fondamentale scegliere dentro di se un riferimento, che quando eravamo più piccoli potevamo chiamare la nostra “base sicura”, che può essere rappresentato dal proprio compagno, un parente o un amico. Poi è chiaro che laddove i fenomeni emotivi non si riuscissero a contenere esistono anche tanti servizi di supporto psicologico e psicoterapeutico a cui chiedere aiuto, affidandosi ovviamente a bravi professionisti e non a chi improvvisa perché lavorare con queste emozioni e questi traumi non è semplice. E’ ad esempio disponibile un numero verde dell’ordine degli psicologi ma anche da noi al Policlinico Gemelli c’è un numero dedicato. Ed io invito caldamente le persone a chiedere aiuto se ne sentissero il bisogno.
L’emergenza riguarda anche i bambini, quali ripercussioni emotive state rilevando?
Anche in questo senso abbiamo condotto una ricerca, prossima alla pubblicazione, su una popolazione di bambini tra 1 anno e mezzo e 5 anni e tra i 6 e i 18 anni in cui abbiamo esplorato le loro emozioni. Nei bambini più piccoli addirittura la percentuale più elevata esprime l’emozione della gioia mentre nei più grandi purtroppo prevale nettamente la noia. Però è molto interessante analizzare i diversi vissuti perché il problema si riduce nel momento in cui questi ragazzi hanno la possibilità di condividere più tempo con i genitori, per cui un ingrediente importantissimo è creare degli spazi di condivisione all’interno della propria famiglia.
Da questa ricerca viene fuori infatti che la sofferenza, soprattutto dei ragazzi tra i 6 e i 18 anni, è proprio generata dalla difficoltà di condivisione intra familiare. Anche la presenza del padre ha una forte rilevanza, soprattutto negli adolescenti dove i disturbi di isolamento sono più presenti quando c’è un padre periferico, per cui è fondamentale fare in modo che questa figura rientri nella relazione con il figlio. E’ pure vero che in alcune risposte aperte abbiamo notato come tante relazioni siano migliorate quindi questo significa che l’esperienza del distanziamento sociale e dell’isolamento ha rappresentato per alcune famiglie una grande risorsa di conoscenza. Ci sono poi purtroppo invece delle situazioni in cui i conflitti si accentuano e quelle sono sicuramente dimensioni intra familiari che vanno sorvegliate perché possono generare diverse problematiche.
Quali sono i consigli per aiutarli?
I bambini purtroppo interiorizzano e non esprimono apertamente il loro disagio. La misura del trauma è sostanzialmente legata alla mancanza di relazione con i coetanei ma anche alla condizione dell’attività fisica poiché in molti bambini anche la difficoltà di esprimere il proprio movimento all’interno di uno spazio aperto può comportare un disagio.
Noi genitori possiamo innanzitutto aiutarli favorendo il rapporto con i coetanei ma ricordiamoci che sono loro a dover scegliere con chi avere una comunicazione a distanza, perché avvenendo in un contesto familiare non tutti i bambini sono pronti a far conoscere la propria intimità. Stiamo attenti quindi a non forzare nessuna relazione a distanza. Il secondo consiglio è favorire gli incontri di gruppo, anche nei bambini molto piccoli, perché gli danno continuità e l’idea che quel rapporto tornerà alla realtà di prima. Per il bambino l’angoscia è data principalmente dalla perdita quindi è fondamentale che gli venga data l’immagine di quello che non è stato perso e presto ritroverà. Laddove invece non volessero partecipare a questi incontri è bene non forzarli perché in questi casi probabilmente il rivedere i propri compagni provoca un’angoscia data dalla loro perdita. Per quanto riguarda l’attività fisica ai genitori si chiede un ulteriore impegno, quello di favorire il movimento, magari attraverso il ballo, la corda o altre attività da poter svolgere in uno spazio più piccolo.
Benedetta de Mattei