Il medico legale fa risalire il decesso a una sessantina di giorni fa, ma per sapere con certezza che cosa ha provocato la morte di Bice Manoni, 80 anni, originaria di Senigallia e trapiantata a Rimini già dalla fine degli anni 50, si dovranno attendere l’autopsia e gli accertamenti istologici. Il cadavere della donna, in avanzato stato di decomposizione, era custodito dai due figli in una stanza chiusa a chiave. “Non abbiamo chiamato nessuno perché Dio ci ha detto che sarebbe resuscitata e sarebbe uscita da lì ringiovanita” ha detto il figlio più grande, 53 anni, che ha deciso di aprire la porta della stanza solo dopo aver capito che questa volta i poliziotti della Questura e gli operatori del Simap – il servizio di igiene mentale che aveva in cura i figli di Bice da 15 anni – questa volta non si sarebbero accontentati delle solite scuse. Ai loro occhi si è presentata una scena terrificante. La madre giaceva sul letto, ormai ridotta a uno scheletro. L’anatomopatologa ha constatato diverse costole rotte aggiungendo così al dramma un altro, terribile, dubbio e cioè che possa non trattarsi di morte naturale. La figlia, 47 anni, non ha detto una parola. Era lei ad avere incontri settimanali con gli operatori del Simap. Quelli del fratello erano programmati ogni 15 giorni. Il primario del reparto di psichiatria dell’ospedale di Rimini Riccardo Sabatelli li ha presi entrambi in consegna dopo che il pubblico ministero ne aveva disposto il ricovero. E’ stato proprio Sabatelli a dare la svolta decisiva al caso. Preoccupato per il fatto di non vedere da tempo Bice Manoni ha contattato la Questura chiedendo alla Polizia di accompagnare gli assistenti sociali nella villetta di via della Rondine. “Quello che posso dire, ha sottolineato lo psichiatra, è che non abbiamo mai avuto alcun tipo di segnalazione di atti violenti da parte dei due fratelli e che non è mai stato riscontrato anche il pur minimo livido".
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