Il 19 novembre la repubblica democratica socialista dello Sri Lanka ha festeggiato l’anniversario della prima elezione del suo presidente Mahinda Rajapaska, che dal 2005 governa il paese. Ha il vento in poppa l’economia della grande isola a sud dell’India, con l’export in aumento soprattutto verso l’occidente, che compra prodotti esotici e preziosi, mentre il turismo è addirittura esploso negli ultimi due anni. Due anni, aggiungiamo sette mesi e torniamo a un massacro. Nonostante i rapporti internazionali, un’inchiesta dell’Onu, le indagini giornalistiche e da ultimo anche le polemiche scoppiate in Australia, al summit annuale del Commonwealth, si continua ad ignorare che questo paese è accusato di crimini di guerra e contro l’umanità. Per 26 anni in Sri Lanka le Tigri Tamil, nel nome del separatismo per il nord dell’isola, avevano portato morte e terrorismo, ma alla resa dei conti, decisa da Rajapaska nel maggio del 2009, nello scontro finale tra le Tigri e le truppe governative, sono state uccise 40.000 persone. Una mattanza sotto gli occhi della Croce Rossa internazionale, senza corridoi umanitari, senza speranza, con i civili usati come scudi umani dalle Tigri Tamil, mentre i soldati regolari bombardavano gli ospedali, sparavano sulla gente inerme e si abbandonavano ad ogni genere di violenza, compreso lo stupro. In quell’occasione furono catturati anche più di 11.000 tamil, uomini e donne e di molti di loro non si sa più nulla. Sulla base di una legge chiamata “Prevention of terrorism act” si può rimanere in galera per anni senza processo, presunti colpevoli e non innocenti e Amnesty International continua a denunciare il ricorso sistematico alla tortura contro i detenuti. Si aggiungono rapimenti e morti sospette “in quelli che sono sembrati tentativi simulati di scontri e di fughe”. Non è finita neanche per gli sfollati. Dopo il massacro, erano state spostate intere famiglie, più di 300.000 persone, confinate in campi profughi dove mancavano acqua, cibo e medicine. Di queste, chi ha potuto ha lasciato il paese, soprattutto verso il Canada, dove vive una numerosa comunità Tamil, molti si sono arrangiati presso case amiche, altri sono in luoghi di transito, nei campi ne restano però un paio di decina di migliaia e il governo vieta le ispezioni internazionali, anzi nega il problema per intero. Il governo di Rajapaska nega qualunque responsabilità per il massacro. Ha definito “parziale e ingannevole” il rapporto dell’Onu, considera “manipolate” le indagini giornalistiche. Nella primavera del 2012 però sarà organizzato un grande Expo internazionale, al quale ha già dato la sua adesione la Francia e nel 2013 si terrà a Colombo, nonostante le contestazioni, il summit del Commonwealth. Anche in quest’isola nell’oceano indiano, si gioca la partita tra gli interessi asiatici, contesi tra India e Cina e quelli occidentali. Un paese buddista di venti milioni di abitanti con una minoranza induista tamil, dove poco importa la riconciliazione nazionale ma contano geopolitica e mercati. Si dimentica in fretta. I diritti umani possono attendere.
Carmen Lasorella
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