“Se il governo turco non ha informazioni sul commercio di petrolio da parte dell'Isis nel suo Paese, siamo pronti a metterle a sua disposizione”. C'è un'ironia amara, nelle parole dell'iraniano Mohsen Rezai: pezzo grosso delle Guardie della Rivoluzione. I nostri consiglieri militari in Siria, ha detto, “hanno fatto foto e filmato tutto il percorso dei camion che portano il petrolio del DAESH in Turchia, prove che possono essere rese pubbliche”. Un'accusa durissima, che si aggiunge a quella già presentata dalla autorità russe. Anche il presidente iraqeno Massum, è infuriato con Ankara, a causa del dispiegamento di truppe turche nella regione di Mosul, senza alcuna autorizzazione. Si fa sempre più insostenibile, a questo punto, la posizione di Erdogan: sostenuto nei giorni scorsi – nella grave vicenda dell'abbattimento del Su-24 russo - solo dai vertici NATO e da Washington. Proprio gli Stati Uniti, ora, sembra si trovino a fare i conti direttamente con i fanatici seguaci del DAESH. “Due soldati del Califfato – ha scritto l'organo di propaganda ufficiale dell'Isis in lingua inglese - hanno compiuto un attacco a San Bernardino, uccidendo 14 miscredenti”. Ma qualcosa – a questo punto – sembra muoversi. Secondo il New York Times, America e Russia stanno negoziando una nuova risoluzione al Consiglio di sicurezza Onu per colpire le finanze dello Stato Islamico, sulla falsariga di quella approvata nel 1999 contro al Qaida. Mosca vuole che sia previsto un provvedimento che richieda all'ufficio del segretario generale di denunciare chi viola i divieti. Il pensiero, ovviamente, è alla Turchia di Erdogan
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