Lo ius soli visto da chi, nato e cresciuto in Italia, è ancora considerato straniero
Sono tante e diverse le storie di chi è arrivato in Italia in tenera età e, dopo anni, non è ancora italiano, o ha sopportato lunghe trafile burocratiche per ottenere la cittadinanza. “Tanti di noi 'scoprono' da bambini di non essere italiani, e si vedono negate cose normali, come poter partecipare a un Erasmus, come è successo a me”, dice Marwa Mahmoud, nata ad Alessandria d'Egitto, in Italia sin da piccola, laureata in lingue e letterature straniere a Bologna che a 18 anni ha rincorso tutti i certificati che le servivano nel Paese d'origine per diventare quello che si è sempre sentita, italiana. Lo ius soli in discussione, dice, non dovrebbe essere né di destra né di sinistra.
Ian studia giurisprudenza, nato a Roma da genitori ugandesi: “Anche nel mio Paese sarei multietnico – scherza – visto che in famiglia parliamo 4 lingue”. Mohamed invece è nato in Libia, Paese dove attualmente è anche difficile reperire documenti, da quasi 40 anni è in Italia ma non è ancora un cittadino.
Non poter partecipare a concorsi pubblici, dover scegliere lauree che non prevedano poi l'iscrizione a un albo professionale, veder scritto sulla carta d'identità “divieto di espatrio”: sono tante le discriminazioni per chi, pur essendo nato qui, subisce come fosse uno straniero di passaggio: “Ti senti rigettato dal punto di vista normativo – concludono – mentre nella vita di ogni giorno ti senti italiano, a tutti gli effetti”.
Francesca Biliotti
Nel video le interviste a Marwa Mahmoud portavoce “Italiani senza cittadinanza”; Mohamed Tailmoun Rete G2 Seconde Generazioni