E' l'Eritrea, secondo Reporter Senza Frontiere, il Paese al Mondo dove è più difficile svolgere il mestiere di giornalista, a causa di minacce, intimidazioni e censura. Nella classifica sulla libertà di stampa – aggiornata ogni anno – svetta la Finlandia, seguita da vari Paesi del Nord Europa. In caduta libera l'Italia, attualmente in 73esima posizione: preceduta dalla Moldavia e seguita dal Nicaragua. C'è da dire che i criteri seguiti dalla ONG, con sede a Parigi, sono stati a volte oggetto di critica; così come il suo fondatore – Robert Menard – che alcuni anni dopo essersi dimesso dalla carica di segretario generale dell'Organizzazione è diventato sindaco di una città del sud della Francia con il sostegno del Front National. Ma c'è un dato – drammatico – in merito al quale non esistono interpretazioni: quello dei giornalisti uccisi. E se la strage alla sede di Charlie Hebdo, o l'omicidio di Anna Politkovskaya, sono nella memoria di tutti, in pochi sanno che – dal 1992 – sono stati oltre 1.100 i colleghi assassinati o deceduti in zone di guerra. La maggior parte di questi – paradossalmente - sono morti senza fare notizia: sono i reporter locali. Decine – ad esempio - i giornalisti iracheni uccisi in questi anni. L'ISIS ha spettacolarizzato le esecuzioni, ma in genere solo degli occidentali. Anche in Europa si muore, come ricorda la tragica fine, a Sloviansk, del talentuoso freelance Andy Rocchelli. Due settimane fa, a Kiev, 2 giornalisti ucraini – con posizioni filo-russe – sono stati assassinati nell'arco di poche ore. Oles Buzina, Sergej Sukhoboc: questi i loro nomi. Il fatto è stato sostanzialmente ignorato dalla stampa internazionale.
Gianmarco Morosini
Gianmarco Morosini
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