L’ultima in ordine di tempo è stata l’operazione Vulcano, coordinata dalla Procura di Bologna, alla quale hanno collaborato anche i carabinieri di Rimini. Due anni di indagini e dieci arresti per usura ed estorsione con l’aggravante di metodi mafiosi: sono state proprio le minacce di pestaggi, sequestri di persona, vendette trasversali -utilizzati per riscuotere danaro da imprenditori romagnoli e sammarinesi in balia del gruppo criminale finito in manette - a scuotere l’opinione pubblica. Passare dalle parole ai fatti non è poi così difficile per personaggi appartenenti ai clan Vallefuoco, Mariniello Schiavone e Casalesi. Meno automatico, secondo le forze dell’ordine, un altro passaggio. Parlare cioè non più di infiltrazioni mafiose ma di radicamento: innanzitutto perché, a Rimini come a San Marino, manca la cultura dell’omertà. Ma anche perché operazioni come la “Vulcano”, ma anche tante altre, indicano proprio la presenza dello Stato in un territorio. Esposto, questo sì, perchè economicamente fertile ma reso debole dalla crisi. L’appiglio oggi è l’usura, gli uomini cerniera sono i colletti bianchi. Alzare il muro dei controlli è l’unica contromisura: spetta alle forze dell’ordine ma anche a rappresentanti dell’economia e delle istituzioni.
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