E' di 61 morti, il bilancio dell'attentato – rivendicato dall'ISIS - ad un'accademia di polizia a Quetta: capitale della provincia pachistana del Belucistan. 3 attentatori suicidi, armati di granate e fucili d'assalto, si sono prima scontrati con i poliziotti, per poi attivare le cinture esplosive e provocare la strage. L'obiettivo dell'azione sembra essenzialmente propagandistico: per dimostrare l'intatta pericolosità, del DAESH, nonostante le difficoltà sempre maggiori sui campi di battaglia. Le avanguardie dell'Esercito iracheno, infatti, sono ormai a meno di nove chilometri da Mosul; 74 i villaggi già liberati nel corso dell'offensiva. Ma nel frattempo, alcuni analisti, iniziano ad avere un sospetto; in un qualche modo avallato dalle parole pronunciate da Hollande nei giorni scorsi. Il Presidente Francese si era rammaricato per l'inspiegabile fuga di un migliaio di combattenti dell'Isis, usciti da Mosul e arrivati a Raqqa senza che nessuno, aerei statunitensi compresi, avesse fatto nulla per fermarli. Il dubbio è che si stia lasciando aperta una via di fuga – alle truppe del Califfato - per permettere una più rapida liberazione della seconda città irachena, e al contempo mettere sotto pressione Assad, in Siria. L'ONU, proprio oggi, ha espresso il timore che il DAESH stia deliberatamente usando i civili, a Mosul, come scudi umani. Mosca, dal canto suo, parla di un doppio standard, delle Nazioni Unite, affermando che la stessa cosa sta accadendo ad Aleppo est, con le bande di Al Qaeda che impediscono l'evacuazione dei civili, bombardando i corridoi umanitari. La Russia punta il dito anche contro le azioni della coalizione a guida americana. In 3 giorni di raid su Mosul – sostiene il Cremlino – sono rimasti uccisi 60 civili; colpite scuole e aree residenziali
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