Era il 1° ottobre del 1949 quando Mao, da una tribuna eretta in piazza Tiananmen, annunciò al mondo la vittoria del comunismo in Cina. Den Xiaoping, salito al potere negli anni 80 e trovandosi davanti un Paese sull’orlo della bancarotta, lanciò uno slogan inaudito per un leader comunista: “essere ricchi è glorioso”. Così, modificando come dicono qui solo il 30% del libretto rosso, riuscì a invertire il corso fallimentare dell’economica socialista e ad avviare la Cina verso il capitalismo di Stato. Oggi i Paesi occidentali, che fiorivano con la libera economia di mercato sono in crisi e la Cina continua ad essere la locomotiva trainante dell’economia globale. Non ci sono segreti per questo miracolo economico. La forza cinese è nell’immensità dei suoi numeri. Un miliardo e 300 milioni di persone che, sommate alle nuove tecnologie, fanno della Cina una imbattibile macchina di produzione. Le riserve estere del Paese ammontano a 2.400 milioni di dollari ma pare che in realtà siano tre volte maggiori. I contadini, per i quali Mao aveva fatto la sua rivoluzione, sono 700 milioni. Senza più la protezione delle comuni popolari, con le terre prese d’assalto dai costruttori, lasciano i loro villaggi e si offrono come manodopera a bassissimo costo. Diventano persone senza l’indispensabile permesso di soggiorno e per la città che li ospita, non esistono più. Non hanno diritto all’assistenza sanitaria, non possono neppure sposarsi. Sono fantasmi che girano sotto gli occhi di tutti.
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