La riforma della Rai è diventata legge dopo l'approvazione definitiva da parte del Senato, che ha votato per alzata di mano.
Il direttore generale tramonta, ora c'è l'amministratore delegato designato dal Ministero del Tesoro. Il consiglio d'amministrazione non è più eletto dalla commissione di Vigilanza, ma dal Parlamento, dal governo ed anche dall'assemblea dei dipendenti. Il presidente diventa una figura “di garanzia”, che avrà bisogno dei due terzi della commissione di vigilanza. Ecco la nuova Rai, nata dalla riforma votata definitivamente dal Senato.
I consiglieri del cda diventano 7: 2 li nomina Palazzo Chigi, 2 la Camera, altrettanti il Senato, uno è il rappresentante dei dipendenti. Prima, il cda aveva 9 membri, di cui 7 eletti dalla commissione di Vigilanza, in rappresentanza dunque del Parlamento, 2 dal Tesoro.
Molto forti i poteri che la riforma dona all'amministratore delegato: può nominare i dirigenti sentito il parere del cda.; la sua carica dura 3 anni, e può votare, a differenza del vecchio direttore generale. Nomina dunque i direttori di rete, di testata e i dirigenti di seconda fascia. Il parere del cda non lo vincola, a meno che non siano contro i due terzi. Può votare in totale autonomia i contratti, fino ad un valore di 10 milioni di euro. In questa prima fase comunque, al direttore generale sono conferiti i poteri dell’amministratore delegato. Tra la seconda e la terza lettura sono state introdotte alcune importanti modifiche, ad esempio la pubblicazione degli stipendi dei dirigenti oltre i 200mila euro, giornalisti compresi ma star del piccolo schermo escluse, e Palazzo Madama ha detto sì, in terza lettura, a queste novità introdotte da Montecitorio. Tra le critiche più spesso rivolte alla riforma, quella per cui la Rai sarebbe diventata fin troppo politicizzata, mentre il Presidente del Consiglio, al contrario, aveva promesso un servizio pubblico sganciato dai partiti.
Francesca Biliotti
Il direttore generale tramonta, ora c'è l'amministratore delegato designato dal Ministero del Tesoro. Il consiglio d'amministrazione non è più eletto dalla commissione di Vigilanza, ma dal Parlamento, dal governo ed anche dall'assemblea dei dipendenti. Il presidente diventa una figura “di garanzia”, che avrà bisogno dei due terzi della commissione di vigilanza. Ecco la nuova Rai, nata dalla riforma votata definitivamente dal Senato.
I consiglieri del cda diventano 7: 2 li nomina Palazzo Chigi, 2 la Camera, altrettanti il Senato, uno è il rappresentante dei dipendenti. Prima, il cda aveva 9 membri, di cui 7 eletti dalla commissione di Vigilanza, in rappresentanza dunque del Parlamento, 2 dal Tesoro.
Molto forti i poteri che la riforma dona all'amministratore delegato: può nominare i dirigenti sentito il parere del cda.; la sua carica dura 3 anni, e può votare, a differenza del vecchio direttore generale. Nomina dunque i direttori di rete, di testata e i dirigenti di seconda fascia. Il parere del cda non lo vincola, a meno che non siano contro i due terzi. Può votare in totale autonomia i contratti, fino ad un valore di 10 milioni di euro. In questa prima fase comunque, al direttore generale sono conferiti i poteri dell’amministratore delegato. Tra la seconda e la terza lettura sono state introdotte alcune importanti modifiche, ad esempio la pubblicazione degli stipendi dei dirigenti oltre i 200mila euro, giornalisti compresi ma star del piccolo schermo escluse, e Palazzo Madama ha detto sì, in terza lettura, a queste novità introdotte da Montecitorio. Tra le critiche più spesso rivolte alla riforma, quella per cui la Rai sarebbe diventata fin troppo politicizzata, mentre il Presidente del Consiglio, al contrario, aveva promesso un servizio pubblico sganciato dai partiti.
Francesca Biliotti
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