Rispetto alla metà degli anni ’90, il fenomeno dell’abusivismo commerciale a Rimini non è aumentato quantitativamente; è cambiato, semmai, sotto il profilo della qualità. Lo rileva una ricerca dell’Università di Forlì. In dieci anni la vendita di materiale contraffatto si è praticamente dimezzata: se nel ‘97 veniva esercitata dal 17% dei soggetti in attività, nel 2008 si scende al 10%. Il cambiamento qualitativo riguarda invece la provenienza dei venditori irregolari e di conseguenza il tipo di merce o servizio non autorizzati offerti. Diminuisce la percentuale di maghrebini e senegalesi, a vantaggio degli asiatici - dalla Cina e dal Bangladesh in particolare - che superano il 50%. Cresce l’offerta di massaggi, tatuaggi o treccine rispetto alla vendita di beni, e cresce quindi anche la percentuale delle donne che vendono in spiaggia. La ricerca ci dice inoltre che solo 1/3 circa degli immigrati risiede, negli anni, stabilmente nel Riminese, ciò dà il senso della forte stagionalità del fenomeno, collegato ai flussi turistici. Ma altrettanto significativa è un’altra tendenza: l’apprendimento reciproco. Questo il processo che più caratterizza il mutamento dell’abusivismo commerciale negli ultimi dieci anni. Da un lato gli immigrati hanno appreso e si trasmettono quelle regole che servono a rendere la loro attività più legale possibile. Dall’altro, il contesto cittadino più propenso all’integrazione, e l’atteggiamento delle forze dell’ordine che tendono a privilegiare l’aspetto della prevenzione degli illeciti rispetto a quello sanzionatorio. L’esistenza poi di un numero ormai significativo di “storie di successo”, cioè di venditori in spiaggia di un tempo che oggi lavorano come dipendenti o come titolari di esercizi commerciali, dimostra quale possa essere l’esito di questi processi di apprendimento reciproco.
Silvia Pelliccioni
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