A Rimini la serata “Di malagiustizia si muore”, in memoria di Enzo Tortora

Sono passati 30 anni dal clamoroso arresto di Enzo Tortora, 25 dalla sua morte, ma quel caso giudiziario resta uno dei più velenosi e complessi della storia d'Italia, in cui “la magistratura mostrò il suo lato oscuro”. Lo ricorda il giornalista RAI Valter Vecellio che insieme ad altri radicali - quali Pannella, l'attuale ministro Bonino e Giuseppe Rippa - fece di Enzo Tortora il simbolo della giustizia ingiusta. “Sbatti il mostro in prima pagina”, e così fu – racconta Vecellio. Le immagini dell'arresto, il 17 giugno 1983, l'atteggiamento tenuto da certa stampa a testimoniare la gogna mediatica cui il giornalista e conduttore televisivo andò incontro. Negli stessi giorni l'amico Enzo Biagi controcorrente su "La Repubblica", in un'editoriale pungente verso i censori della prima ora. Il 15 settembre 1986 Enzo Tortora fu assolto con formula piena dalla Corte d'appello di Napoli. A chi lo accusava di avere due vite - quella di giornalista e conduttore televisivo senza macchia apparente, e quella di “venditore di morte” da affiliato alla camorra - rispose sempre con volontà inflessibile. E' l'ultima compagna, la giornalista Francesca Scopelliti, a ripercorrerne la vicenda umana e personale, a spiegare perché nonostante il torto subito Tortora non abbia mai rinunciato a lottare. Alla fine riuscì a vincere la battaglia a difesa della propria onorabilità, ma non quella contro la malattia, perché “di Malagiustizia si muore”. L’iter processuale, gli accusatori (pentiti e giudici), tutto viene ripercorso nell'intervento di Paolo Gasperoni, vicepresidente delle Camere penali di Rimini. Nessuno ha veramente pagato per gli errori commessi. E anche la politica ha le sue colpe, dimostrandosi incapace di approfondire la vicenda per trovare la cura a questo sistema malato – si è detto. In mezzo a tutto ciò comunque un lascito morale: legalità e giustizia.

Silvia Pelliccioni

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