Il pranzo veloce, magari durante una giornata di lavoro, viene consumato in Repubblica, ma se si tratta di decidere dove andare a cena la maggioranza degli abitanti del Titano si reca in Riviera. Eppure, quando si è a tavola, in Repubblica conviene davvero. Se in pizzeria la differenza non c’è e se il prezzo del pesce subisce dinamiche imprevedibili ai più, quando si tratta di un pasto tradizionale, la differenza nel conto supera, a volte anche di parecchio, i 10 euro. E’ vero che a San Marino sono pochi i ristoranti che tengono la cucina aperta dopo le 10 di sera ma i gestori spiegano questa scelta proprio con il fatto che, comunque, i sammarinesi preferiscono cenare fuori territorio e che quando scelgono il ristorante nostrano sono spesso scontenti del prezzo perché ritengono ogni cifra troppo alta per mangiare “in casa”. Invece è soprattutto fuori confine che i prezzi sono saliti alle stelle. La conferma arriva da un semplice confronto fra le varie guide gastronomiche del 2007 con quelle pubblicate negli anni precedenti, anche se a far gridare allo scandalo non sono i ristoranti di pesce di qualità quanto piuttosto le pizzerie dove, quando trovi una margherita a meno di 8 euro sei contento, salvo poi pensare che in fondo sono quasi 16mila lire. A fare i conti è stata anche la Federal Reserv americana che dice: nei Paesi dell’Unione Europea che non hanno aderito alla moneta unica, gli aumenti sono stati assai più contenuti. In Inghilterra, ad esempio, la ristorazione è aumentata solo dell’1%, mentre nell’area euro la botta si è fatta sentire con rincari medi del 16%, che in Olanda sono arrivati al 50 e in Germania al 28%. In Italia, secondo lo studio, i rincari si sarebbero determinati non per l'intervento speculativo dei ristoratori, ma per la concomitanza di una serie di fattori tecnici: la ristorazione – spiegano - ha tempi di aggiornamento dei listini più lunghi rispetto ad altri comparti in quanto è l'elemento terminale di una lunga filiera di costi. Inoltre i ristoratori italiani, consapevoli che l'euro avrebbe comportato dei rincari, non hanno aggiornato i listini nei mesi immediatamente precedenti, riservandosi di farlo in un'unica volta a moneta sopraggiunta, determinando così uno sbalzo del prezzo al consumo più significativo e, soprattutto, «percepito» come più brusco da parte della clientela. Insomma sarebbe stata la rapidità dell'aumento a farci apparire i conti più salati. Inutile dire che le associazioni dei consumatori considerano «risibile» il ponderoso studio americano e sostengono che «qualunque cittadino italiano potrebbe testimoniare, per diretta esperienza, che questi numeri sono campati per aria».
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