That's the press, baby. The press.
Editoriale del Dg Carlo Romeo
Una cosa che mi ha sempre sorpreso, quando si parla di giornalismo e di giornalisti, è l'infinito numero di esperti, docenti, consulenti spesso nelle condizioni della celeberrima vecchia mai stata moglie, senza mai figli, senza più voglie, disponibile a prendersi la briga e di certo il gusto di elargire consigli, merce preziosa, sempre se la fonte ha le credenziali o il curriculum per essere tale. Spesso invece ci si ritrova, per chi fa questo strano mestiere, a sentirsi spiegare da certa politica, da certa imprenditoria, da certa avvocatura e persino - incredibile dictu! - da certa magistratura, il come, il quando, il perchè della notizia, dimenticandosi troppo spesso che, come noto, non sono le notizie che fanno il giornale ma è invece il giornale con i suoi giornalisti che fa le notizie. Sarebbe un po' come se un giornalista di professione telefonasse a un medico dell'ospedale per spiegargli come deve curare un malato o a un avvocato su come gestire una causa o a un magistrato su come redigere una sentenza. La cosa resterebbe nell'ambito del diciamo folklore mediatico se non fosse che può creare problemi di comunicazione e talvolta di responsabilità. Le mai troppo benemerite scuole di giornalismo sono ormai due decenni che finalmente sfornano professionisti preparati e è finita l'era - non a caso molto apprezzata dai regimi - in cui era la politica l'ufficio di collocamento della stampa che non a caso, con più o meno evidente eleganza, ricambiava riconoscente. Invece - come dicono nelle migliori redazioni USA - un buon giornale è una nazione che parla a se stessa.
Le cose cambiano ovunque con i loro tempi e bisogna essere fiduciosi anche per il rispetto che merita il mestiere di giornalista. Anche la Consulta per l'Informazione, nonostante una legge debole per sua stessa natura, si sta impegnando per la tutela del giornalista e della sua professionalità, quando essa è chiamata in causa così come la Reggenza ha più volte confermato l'importanza del rispetto di ruoli e responsabilità nell'ambito dell'informazione e della comunicazione. Nuove generazioni di giornalisti si stanno formando con la professionalità dovuta, attenti a ascoltare rigorosamente tutte le campane e non solo quella del proprio riferimento editoriale, politico o di convenienza che sia, distinguendo il gossip dalla cronaca, i fatti dalle opinioni. Il giornalista è un testimone di professione, non un killer prezzolato per colpire sempre e solo la parte avversa, a meno che non sia un quotidiano di partito o di fazione e allora andrebbe dichiarato con chiarezza per trasparenza. Nel caso, nessun problema, ma basta saperlo. Il giornale della Conferenza Episcopale Italiana o quello della Confindustria, per fare un esempio, sono ottimi giornali, fatti benissimo, ma il lettore sa bene chi c'è dietro. Non si può essere infatti filogoverantivi o antigovernativi a priori, a seconda se il finanziatore di riferimento è al governo o all'opposizione, tanto per chiarezza. Il comunicato stampa che ha emesso ieri la Consulta pone dei paletti importanti e, per quel che può valere la mia impressione, non cade nel vuoto. L'annunciata apertura di un tavolo da parte della Segreteria competente per la modifica - o forse meglio, per la riscrittura della legge - è un segnale forte e nuovo, ovviamente se avrà i riscontri concreti auspicati da entrambe le parti. Nessuna democrazia può fare a meno di una stampa autorevole, corretta, credibile, indipendente da interessi politici e poteri forti. La libertà di stampa non è un privilegio - affermava Walter Lippmann, due volte Pulitzer peraltro - ma una necessità organica all’interno di una grande società.
cr
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