Truffa da 10 milioni di euro: proseguono le indagini
Un gioco di scatole cinesi per sviare i controlli o, almeno, renderli più difficoltosi. Questo – hanno spiegato gli uomini delle fiamme gialle di Paola, in provincia di Cosenza - il sistema messo in atto dall’organizzazione che aveva architettato la truffa ai danni dello Stato per circa 10 milioni di Euro. Per i tre in stato di fermo, fra i quali il direttore della finanziaria sammarinese, Paolo Conti, le accuse vanno da associazione a delinquere alla truffa ai danni dello Stato, dall’aumento fittizio di capitale all’emissione ed utilizzo di fatture per operazioni inesistenti e falsità ideologica commessa da privato in atto pubblico. Contestazioni pesanti mosse, in parte, anche ad altre 10 persone la cui posizione è al vaglio degli inquirenti. Si tratterebbe in larga misura di piccoli imprenditori e artigiani locali, che avrebbero, secondo l’accusa, emesso fatture false, rilasciato attestazioni mendaci o si sarebbero intestati società di comodo. Paolo Conti, 66 anni, ex funzionario della banca nazionale del Lavoro, residente a Pioltello, in provincia di Milano, è il direttore e il fiduciario di una finanziaria sammarinese, la Ge-Fin di Dogana, i cui impiegati, da noi contattati, non hanno fatto alcun commento alla vicenda, non hanno né confermato né smentito un eventuale coinvolgimento della società. Secondo le Fiamme Gialle calabresi il compito di Conti era quello di far risultare, tramite operazioni finanziarie fittizie, capitali inesistenti e, successivamente, far sparire, sempre attraverso operazioni finanziarie, i fondi percepiti. Ad uno dei tre arrestati, Franco Iori, 70 anni, di Ferrara, sono stati concessi gli arresti domiciliari. Iori era già stato, in precedenza, espulso dall’Ordine degli avvocati per una condanna a cinque anni di reclusione per bancarotta fraudolenta. A San Giovanni, nel comune di Amantea, nella zona industriale di Campora, il capannone che avrebbe dovuto ospitare la BM Filati S.r.l. era stato costruito, su un’area di 5 ettari di terreno. Ma all’interno nessuna attrezzatura, nessun ufficio, nessun macchinario. L’azienda, nel cui oggetto sociale è prevista la produzione e il recupero di filati, avrebbe dovuto occupare 125 persone.
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