Pare fosse stata prodotta in una fabbrica di munizioni dell'Oklahoma, la GBU-43/B. L'ordigno convenzionale più potente dell'arsenale americano – mai utilizzato fino a ieri - è stato sganciato da un C 130 delle forze speciali, su un complesso di tunnel utilizzato dal Califfato, nella provincia di Nangarhar. Sarebbero 36 le vittime, anche se DAESH ha smentito, ma forse questo è un dettaglio; perché secondo molti analisti lo strike – effettuato alla vigilia della Conferenza di Pace sull'Afghanistan, a Mosca – aveva ben altri obiettivi. Dimostrare, innanzitutto, che il “nuovo” Trump – muscolare ed interventista - è pronto ad utilizzare ogni mezzo a disposizione delle Forze Armate, contro quelli che sono ritenuti nemici degli Stati Uniti. L'Iran, in prospettiva, ma nell'immediato il pensiero va a Pyongyang. Che la situazione sia effettivamente ad alto rischio lo dimostra la decisione di Air China di sospendere – da lunedì – i voli per la Corea del Nord. “Trump è peggio di Obama. Ha creato un circolo vizioso di tensioni”, ha dichiarato il viceministro degli Esteri di Pyongyang. Mentre i vertici dell'esercito si dicono pronti ad adottare “le più dure contromisure”. Ma in un'eventuale guerra con gli Stati uniti – ammonisce dal canto suo Pechino - “non ci possono essere vincitori”. E dalla Russia è arrivato l'invito, a tutti i paesi coinvolti nella crisi, ad astenersi da atti provocatori. Mosca è intervenuta anche sull'altro fronte caldo – quello siriano – con un'apertura a Washington, dopo il gelo seguito allo strike americano sulla base di Shayrat. Il portavoce del Cremlino ha dichiarato che la Russia è pronta a ripristinare il memorandum di sicurezza con gli Stati Uniti “a patto che non vengano ripetute azioni imprevedibili”
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