13° Congresso FUPI-CSdL: relazione introduttiva del segretario uscente Alessio Muccioli
Care delegate e delegati,
Sono passati già quattro anni dall’ultima occasione congressuale, oltre alla considerazione ovvia di come realmente passa il tempo (come testimoniato dalle immagini che abbiamo scelto).
Voglio fare cominciare questo mio contributo da come ci lasciammo appunto 4 anni fa. La mia relazione dell’epoca era principalmente focalizzata sulla analisi delle cause della crisi economica del 2008, comparandola a quella del 1929, e di come le varie realtà nazionali ed extranazionali si apprestassero ad affrontarla, quale tipo di teorie fosse alla base delle manovre che si attivarono per uscire dall’impasse economica.
La relazione partiva da una breve analisi della crisi economica del 1929, la “Grande Depressione” appunto, e di come allora fu possibile rilanciare le economie del mondo con politiche espansive, politiche di aumento del debito, quindi. Avevo poi cercato di comparare, in maniera sintetica, quale fosse la reazione dei vari stati alla crisi del 2008, sottolineando una importante differenza di approccio fra Stati Uniti, Inghilterra ed anche Giappone da una parte, paesi che da subito adottarono politiche di forte aumento del debito rispetto ad una Europa che invece, si dibatteva, probabilmente anche per interesse di alcuni suoi membri, in una discussione fra chi sosteneva politiche di espansione della spesa e chi propugnava invece politiche di austerity laddove la crisi aveva colpito più duro (Grecia , Portogallo), discussione che inizialmente si risolse a favore di queste ultime.
Osservavo come, il primo gruppo di paesi fossero già usciti ampiamente dalla crisi mentre l’Eurozona latitasse ancora in termini di ripresa economica, fatta eccezione per Germania e alcuni paesi del Nord.
La storia ha dimostrato inequivocabilmente come avessero ragione i sostenitori delle politiche espansive, poiché la stessa Europa ha dovuto modificare la propria politica economica autorizzando i paesi a vari esercizi di bilancio con sforamenti via via più ampi nei bilanci statali; altra azione definitiva di politica espansiva monetaria è stata (ed è tuttora vigente almeno fino a gennaio 2019) quella messa in campo dalla BCE che ha dichiarato di garantire l’acquisto di titoli di debito dei singoli stati europei in difficoltà qualora questi superassero un certo livello di rendimento (il famoso spread contro il bund tedesco); tale garanzia di acquisizione fu poi estesa addirittura alla garanzia di acquisire titoli di aziende private ritenute strategiche qualora ve ne fosse l’ esigenza, per sottolineare la portata di tale politica espansiva essa fu denominata, vi ricorderete, il Bazooka di Mario Draghi.,a cui personalmente ritengo che in Italia debbano fare una statua in ogni piazza.
Tutto ciò è oramai storia, tutto ciò è stato quindi definitivamente provato, quanto sopra nel mondo è accettato come verità visto che dalle due piuù grandi recessioni mondiali (1929 e 2008) se ne è usciti grazie a politiche espansive; in tutto il mondo tranne in una eccezione storica, San Marino. A quanto pare il nostro paese disconosce questa realtà e impone politiche di austerity, che stanno già, e lo faranno sempre più pesantemente, danneggiando l’economia del nostro paese.
Tale effetto è già stato registrato dai dati sull’andamento dei consumi e sulla capacità di spesa negli anni 2016/2017, che sono allarmanti. Nel 2017 si è registrato un calo della capacità di spesa delle famigile sammarinesi del -3.1%; suddivisa in un calo del -8.6% relativo alla spesa per cenare fuori casa , -6.9% per l’ acquisto di beni e servizi e -6.8% delle spese per istruzione. Nel 2016 le cose non erano andate meglio quando si erano registrati cali consistenti con un dato del -2.1% della capacità di spesa. In questi due anni si è quindi rovesciato un trend prima positivo dell’andamento della capacità di spesa. Tutto ciò ha effetti negativi sul Pil di un paese quindi sull’economia e sulla pelle della gente.
Il Governo sa solo ripetere che è necessario fare cassa, da qui la mia convinzione che il problema non risieda tanto nella esigenza a non fare deficit per non aumentare debito quanto vi sia più una necessità a non disperdere liquidità che probabilmente nel paese scarseggia.
In buona sostanza, a mio personalissimo parere, il problema non risiederebbe tanto nell’ammontare del debito pubblico, che, d’altronde in uno stato che non emette titoli di debito pubblico e che per fare quadrare i bilanci prevedeva l’accensione di mutui presso gli stessi Istituti Finanziari del paese, di cui oggi è parzialmente proprietario capite come sia un concetto, quello del debito, abbastanza sfuggente e forse di difficile quantificazione; quanto di mancanza di liquidità appunto, mancanza di moneta. Tale convinzione ha fatto nascere in me l’idea che il paese viva in una enorme “BOLLA” fatta di partite di giro, di numeri a pareggio che in realtà non esistono nei fatti se non solo parzialmente. Cosa succederebbe se domani diciamo solo ¼ dei correntisti del paese si presentassero agli sportelli bancari per ritirare i propri risparmi?
Una situazione quindi di una urgenza, per così dire eccezionale. Per capire il problema e provare a trovare delle risposte efficaci credo che dobbiamo sempre cercare analogie in situazioni comparabili e una volta trovate capire se i rimedi possono essere attuabili in una realtà peculiare come la nostra economia.
Vado allora ancora una volta alla crisi del 2008; San marino, non potendo emettere moneta si trova in una situazione se non analoga perlomeno molto simile e comparabile ad alcuni stati nazionali europei dopo l’adesione alla moneta unica. Questi paesi infatti ,da quel momento,non esercitavano più alcun controllo sulla sua emissione (che spetta oggi alla Banca Centrale Europea non più alle singole banche nazionali). Dal momento della entrate nella moneta unica i singoli governi hanno perso il controllo sulla loro moneta; tutto ciò ha molte conseguenze, implica, infatti, che questi paesi emettano debito in una moneta che non possono più controllare.
Da questo stato di cose deriva che i governi nazionali non possono offrire alcuna garanzia ai detentori dei titoli di stato , rispetto al fatto che al momento della scadenza vi saranno i soldi disponibili (euro) per rimborsarli. Questo stato di cose contrasta con la situazione dei governi nei paesi che possiedono la propria moneta.
Il governo britannico (anche prima della Brexit) in caso di mancanza di sterline per coprire il proprio debito pubblico può sempre indurre la Banca d’Inghilterra a fornire altre per rimborsare i possessori dei titoli. Non vi è alcun limite alla quantità di sterline che la Banca d’inghiliterra può creare. Nell’ eurozona, invece, i governi non sono in grado di dare tale garanzia, con la conseguenza che i mercati finanziari possono gettarli nell’insolvenza.
Per chiarire voglio fare un esempio con una situazione realmente accaduta. Nel 2010 uno shock economico negativo colpisce la Spagna quando una profonda recessione è andata ad aggiungersi ad una crisi bancaria. Il risultato della crisi economica è che il deficit spagnolo aumenta causando un incremento del debito pubblico. Quando questo accade gli investitori vanno in panico e si chiedono se il governo spagnolo avrà la liquidità necessaria per rimborsare il debito. Presi dalla paura gli investitori vendono i titoli spagnoli; questa cosa ha un duplice effetto; il primo di questi è l’aumento dei tassi di interesse sui titoli del governo spagnolo per poterli piazzare nuovamente sul mercato.
La Spagna quindi in quel momento ha dovuto pagare interessi maggiori per prendere a prestito il denaro per coprire il suo deficit. Il secondo effetto è che gli investitori che hanno venduto questi titoli hanno ricevuto degli euro, che hanno poi reinvestito in titoli nella stessa valuta ma che avevano molti meno rischi, principalmente titoli di stato tedeschi (i sostenitori dell’austerity) . Tutto ciò sta a significare che quegli euro hanno lasciato la Spagna e sono andati a finire in Germania, questo ha l’effetto di prosciugare di liquidità la Spagna e di lasciare il governo spagnolo senza soldi per rimborsare i sui titoli di debito, il governo spagnolo, a questo punto, si trova in una crisi di liquidità.
E sapete perché si è arrivati a questo punto? Perché grazie alle politiche di austerity non c’erano garanzie sufficienti per calmare i mercati; questo fino a quando la Banca Centrale Europea ha imposto adottato politiche monetarie espansive garantendo che sarebbe intervenuta pesantemente sui mercati con l’acquisto di titoli di stato dei paesi in difficoltà. Come dicevo prima i i difensori delle politiche di austerity erano i tedeschi che in questi anni si sono enormemente arricchiti.
Analoga situazione a quella spagnola nel 2010 su è verificata in Inghilterra, anche qui profonda recessione e crisi bancaria che portano ad un importante deficit pubblico e ad un altrettanto gravoso aumento del debito dove è aumentato anche più che in Spagna. Come in Spagna anche qui gli investitori vendono i titoli britannici. Il primo effetto è analogo a quanto accaduto in Spagna, il tasso sui titoli cioè aumenta,ma vendendoli gli investitori acquisicono sterline non euro, quindi questi investitori per comprare i titoli di stato tedeschi dovranno vendere le sterline,ricevute sul mercato dei cambi, per acquistare euro, ciò da un lato provoca la svalutazione della sterlina ma, per ciò che trattiamo adesso più importante, le sterline sono rimaste sul territorio britannico, impedendo così una crisi di liquidità.
Ora, le ragioni saranno molto diverse, ma nel nostro paese permane una situazione drammatica riguardo alla mancanza di liquidità generata da fuga di capitali per mancanza di fiducia nelle istituzioni private e pubbliche sammarinesi; è ovvio che non avendo una moneta come ha l’Inghilterra, siamo obbligati a pensare a soluzioni differenti, ma, forse neppure tanto poiché si tratta sempre di soluzioni per garantire liquidità in realtà dove non si può stampare moneta.
Fuga di capitali, di liquidità dalle economie che non hanno una moneta propria. Questa situazione è appunto simile alla nostra. Mancanza di liquidità generata dalla fuga degli investitori a causa del panico che si è andato creando, economie difficilmente paragonabili se non in tali aspetti e nei loro esiti assolutamente analoghi. Economie quindi che non hanno più denari sufficienti a far fronte ai propri obblighi, verso i propri dipendenti, fornitori. Questo stato di cose se non ci si inventano strumenti non convenzionali e ci si affida invece ai tagli che genereranno ulteriori tagli porta dritto dritto al default.
Dell’ effetto perverso delle politiche di austerity abbiamo già detto, e basta aprire, non oggi, ma da anni a questa parte qualsiasi cronaca che ne parli per rendersi conto dei risultati devastanti che tali politiche hanno avuto. Voglio ricordare l’ultima che ho letto giusto qualche giorno fa, potete andare a verificarla anche adesso sulla pagina online dell’Huftington Post intitolato Morire di Austerità, l’articolo riporta i dati raccolti dalla Commissaria per i diritti umani del Consiglio d’Europa Dunja Mijatovic, dati allarmanti: in 6 anni il numero dei senzatetto è quadruplicato passando da 11mila a40mila, i suicidi sono aumentati del 40% tra il 2010 e il 2015, suicidi che staticamente rilevano come causa di morte un passaggio da 1.6% a 7.8%; un sistema sanitario sull’orlo del collasso lo definisce la commissaria che rileva come ci siano stati picchi nei tassi di HIV e tubercolosi tra i consumatori di droghe dopo il taglio di un terzo dei finanziamenti ai i programmi di assistenza per i giovani a rischio, l articolo prosegue poi con esempi anche negli altri campi in cui la spesa pubblica è stata ridotta.
Con forza allora cosa possiamo fare e proporre di diverso rispetto, ai tagli sul lavoro, non agli sprechi ai quali ribadiamo ancora disponibilità e sui quali tornerò dopo. Uno dei progetti discusso sempre di più in Italia ma anche in altri paesi europei in ogni tipo di partito è quello legato all’introduzione della moneta fiscale.
Le proposte legate alla sua introduzione inizialmente non furono prese molto in considerazione, come dicevo oggi è diventato uno dei temi di cui si discute in ambito internazionale, in particolare nei paesi dove lo spettro della crisi di liquidità aleggia; possiamo dire che in Italia ogni partito numericamente rilevante (a parte il PD per quanto ne so) abbia un progetto in merito; i primi a parlarne furono i 5 stelle poi segui la lega poi forza Italia e così via, diciamo che ognuno di questi partiti ha declinazioni diverse di un progetto sostanzialmente molto simile, chi li chiama Certificati di Credito Fiscale chi Moneta Fiscale appunto. Chi mi conosce sa che ho un po’ il pallino per la storia e perciò voglio fare riferimento ad un precedente storico, che vede appunto l’adozione di questo tipo di strumento, si tratta della Germania del Terzo Reich.
La Germania usciva dalla Prima Guerra Mondiale impoverita e umiliata dal trattato di Versailles che le imponeva delle clausole praticamente impossibili da rispettare se non affossando ogni velleità di recupero. Ebbene in Germania si adottò qualcosa di molto simile alla moneta fiscale anche se allora non fu chiamata in questo modo, tale strumento finanziò un enorme piano di sviluppo, pensate che queste politiche espansive furono adottate in un paese che aveva oltre il 25% del tasso di disoccupazione e chi lavorava praticamente non veniva pagato dove la popolazione era al limite della soglia di malnutrizione; i risultati furono impressionanti e tra il 1933 e il 1938 l’economia stabili un record dietro l’altro, non fu, come si potrebbe pensare l’industria agli armamenti a beneficiarne maggiormente bensì l’edilizia con un + 209%, l industria automobilistica con un + 117%; la metallurgia +83%.
Come dicevo un sistema molto simile ai progetti di moneta fiscale di cui si parla oggi. Sinceramente non ho una ego così smisurata per parlarvi di questo strumento se non fosse che ho avuto l’occasione di sentire parlare della possibilità di introdurre un progetto di moneta fiscale dal Dott. Biagio Bossone che come sappiamo ha ricoperto importanti cariche in Banca Centrale e nella Associazione Bancaria Sammarinese ma soprattutto è stato direttore esecutivo di Banca Mondiale e membro del consiglio direttivo del Fondo Monetario , egli è studioso del tema e ha raccolto attorno a sé e alla rivista di cultura e politica Micro Mega altri politologi ed economisti e sociologi come Luciano Gallino, Marco Cattaneo, Massimo Costa, Luisa Bianco, Stefano Sylos Labini e altri (sul sito online della rivista potete trovare un ebook dedicato alla moneta fiscale).
Moneta fiscale o CCF che dire si voglia, andiamo a vedere sinteticamente di che cosa si tratta. Il dilemma è come garantire maggiore liquidità al sistema senza avere la possibilità di stampare moneta.
La Moneta Fiscale è, di fatto, un titolo che lo stato si impegna ad accettare per l’adempimento di obbligazioni fiscali (tasse, contributi ai sistemi pensionistici e cos’ via) che rappresenta dunque uno sconto rispetto a quanto dovuto fiscalmente,uno sconto a ciò che devo pagare in tasse. Uno dei punti cruciali è che non è una moneta legale ma un titolo. Nessuno quindi è obbligato ad accettarlo come forma di pagamento (anche se può farlo), lo stato quindi non si impegna a convertirla in moneta alla scadenza.
L’altro aspetto centrale è che, per avere gli effetti sperati, deve essere inserita come surplus rispetto all’economia, tale surplus nelle mani dei privati indurrà in questi una maggiore capacità di spesa in virtù dello sconto fiscale di cui essi stessi godranno al momento della scadenza del titolo.
In pratica succederà che lo Stato alla scadenza dei titoli (poniamo due anni dopo l’emissione) dovrà scontare dal fisco il valore dei titoli stessi in quanto rappresentano appunto uno “sconto fiscale”, tuttavia nel frattempo l’economia avrà beneficiato dell’effetto positivo indotto dalla Moneta Fiscale, poiché i soggetti sia pubblici che privati avendo,una maggiore capacità di spesa l’avranno riversata sul mercato, generando un effetto “turbo” sull’economia.
So per certo che una idea in tal senso fu presentata anche all’odierno esecutivo, che evidentemente, poco avvezzo a modificare le proprie idee vuole perseguire politiche che hanno già e sottolineo già fallito dove sono state applicate.
Tale atteggiamento non può essere giustificato solo dalla convinzione in questo approccio anche perché si parla di tagli che incidono in maniera irrisoria su quello che è il debito; sono convinto che un elemento essenziale sia il clima che persiste e che vede chissà perché la pubblica amministrazione come il male dei mali, un volgare pregiudizio che determina l’atteggiamento persecutorio nei confronti della pubblica amministrazione e dei suoi dipendenti. Tutto ciò è frutto della visione di una economia, visione anche questa che è peraltro in declino ovunque fuorché da noi, che vede il mercato al di sopra di tutto, il mercato come unico luogo produttore di prosperità.
Secondo tale visione il settore pubblico viene mantenuto dal settore economico che si produce nel mercato, e senza di esso non potrebbe esistere alcuno stato, secondo tale visione il settore pubblico, è, in un certo senso, parassitario, succhiando le risorse del settore privato. Questa è una concezione molto in voga tra gli uomini d’affari e le organizzazioni degli imprenditori ai quali piace vedere sé stessi come quelli che lavorano duro per mantenere la sovrastruttura rappresentata dal settore pubblico.
Vi è poi una visione totalmente opposta, che è quella che potremo definire dei “fondamentalisti” dello stato per i quali è lo stato a costituire i fondamenti del mercato; in fondo è lo stato che garantisce i diritti di proprietà, senza i quali vigerebbe la legge della jungla. Senza stato non avremmo poi le necessarie infrastrutture, non sarebbero quindi possibili i trasporti. Lo stato poi consente l’organizzazione di un sistema di istruzione universale, senza una competenza, senza sapere leggere ne scrivere l’attività industriale sarebbe impossibile. Secondo questa visione il settore pubblico garantisce la presenza dei beni essenziali all’esistenza del mercato.
A mio parere sono entrambe visioni sbagliate, poiché è vero che senza stato non è possibile alcun mercato, come altrettanto vero che l’espansione del settore pubblico è possibile solo in presenza di un produttivo settore di mercato. Data come vera questa affermazione ne consegue che per sopravvivere i due sistemi hanno bisogno l’uno dell’altro.
Da quanto detto finora è facilmente desumibile che tra i due attori presenti in una realtà sociale ed economica debba esserci un equilibrio, che si delinea nell’attribuzione di ambiti diversi per ognuno di essi. Tipicamente produttivo per l’ambito del mercato, relativo all’ambito della tutela dei diritti e della realizzazione di una società equa e con pari opportunità per l’ambito dello stato.
E’ di qualche anno fa la moda italiana di privatizzare servizi vendendo rami della pubblica amministrazione a società di diritto privato o creando società, le famose “aziende speciali”, erroneamente dette municipalizzate, per fornire servizi pubblici che fino a quel momento erano gestiti direttamente dalle amministrazioni municipali.
Ad anni dall’inizio di tale percorso si può affermare come siano molto di più le esperienze negative di quelle positive. Mediamente i servizi “esternalizzati” sono diminuiti di qualità e i costi sono notevolmente aumentati, spesso si è visto diminuire la voce “costo del personale”, in una rincorsa all’impoverimento dei salari che determina solo povertà, parimenti sono aumentate altre voci, legati ai compensi dei Consigli di Amministrazione, alle retribuzioni dei manager, per non citare i tanti casi legati a rapporti clientelari con la politica e alla corruzione.
Purtroppo la triste cronaca, andando solo agli ultimi mesi, della gestione della rete Autostradale (che offre, peraltro un servizio non certo a buon mercato), come quella delle tante situazioni che emergono con una prevedibile periodicità quando vi sono severe condizioni meteorologiche, dove una migliore gestione del territorio avrebbe potuto se non altro mitigare i danni, sono la conferma dei timori rispetto alla perdita di efficienza che si ha in questi casi ,non accade,come viene spesso raccontato, il contrario. Il territorio italiano è quello di trenta anni fa, e seppure vi siano probabilmente fenomeni meteorologici di natura più violenta che in passato è indubbio che una gestione delle infrastrutture e del demanio pubblico che non sia finalizzata al solo guadagno avrebbe potuto evitare tante tragedie.
Ritengo che rispetto a quella italiana la nostra situazione sia ancora più delicata; lo è in quanto siamo un micro stato; che già di per se ha probabilmente meno anticorpi rispetto alle situazioni che questi attori economici portano con sé e cioè maggiori libertà procedurali nelle assunzioni di personale e nelle nomine di Dirigenza, in quanto non sono più regolate dalle norme pubblicistiche, che seppur con i loro difetti, danno sicuramente delle garanzie.
Ma il punto centrale rispetto a questo tema è quello della salvaguardia della sovranità e della ricchezza del paese. Uno stato “normale” per dimensioni ha certamente in se degli asset che gli garantiscono ricchezza e attraverso i quali è in grado di esercitare la propria sovranità; pensiamo al solo demanio di un paese: le coste, i fiumi, le miniere, talvolta i giacimenti.
Il nostro paese non possiede nulla di tutto questo, percorrere ulteriormente un percorso che veda adottare forme di controllo facenti riferimento a forme private anziché pubbliche del patrimonio di tutti sarebbe perpetrare un errore già troppe volte commesso (da Poste S.p.a. ad altri servizi come quello dei collaudi auto per il quale peraltro erano già stati fatti notevoli investimenti e dove oggi rappresenta fonte di guadagno per i privati), errore che si pagherebbe sia in termini economici che di perdita di sovranità.
Economicamente parlando aumenterebbe il rischio che, una volta creata la spa di turno, in modo particolare in momenti di crisi come quello attuale, ai governi possa balenare l’idea di realizzare dei quattrini, spogliandosi così di importanti asset; così facendo, Da un punto di vista di esercizio della sovranità, perdere controllo dei servizi pubblici non fa altro che “consegnarsi” nelle mani di chi andiamo ad affidarli, in un “microstato” come il nostro, non ci saranno mai infatti, le garanzie di un normale mercato dell’offerta, creando così situazioni di monopolio per la gestione di servizi pubblici.
Altro fattore destabilizzante è una trasformazione del pubblico impiego, inteso anche nei rapporti di lavoro con tutto ciò che ne consegue, in termini di tutela; sarebbe tempo ormai che la classe lavoratrice in quanto tale capisse come le sfortune di una parte di essa indeboliscono anche chi al momento non viene colpito ingenerando così una spirale al ribasso che serve solo ai datori di lavoro.
In estrema sintesi dunque, oltre al rifiuto di questa impostazione mercantile che male si addice al carattere sociale della funzione dei servizi pubblici ci sono anche considerazioni proprie, territoriali, specifiche per le quali rifiutare l’impostazione che come dicevo è già stata avviata con Poste spa e che sembra vedere come prossimo traguardo il compimento di qualcosa di simile riguardo all’Azienda dei Servizi.
Percorrendo questa strada rischiamo lo smantellamento dello stato sociale, con il passaggio da un monopolio pubblico ad uno privato, senza alcun stimolo competitivo al miglioramento della qualità dei servizi, con l’ ulteriore aggravante che attraverso gestioni privatistiche non si considerino più gli interessi collettivi e la libertà di accesso a parità di condizioni per tutti gli utilizzatori. Politica che, attraverso un facilmente intuibile maggiorazione dei prezzi toglierebbe un ulteriore fattore competitivo al nostro paese quale il costo dell’energia.
E’ facile quindi capire come il percorso delle privatizzazioni rappresenti una grave minaccia; non possiamo fare altro che continuare a ribadire come noi intendiamo l’ambito pubblico e cioè quel momento dove si riconosce l’eguaglianza dei diritti dei cittadini in quanto tali, non in virtù della loro capacità di spesa, bensì in virtù dell’essere parte di un tutto che si chiama comunità dove ognuno contribuisce ad essa secondo le proprie capacità e in cambio da essa viene riconosciuto e protetto. La prosperità dello stato è data dalla crescita comune non dall’arricchimento dei pochi.
Anche in questo caso non si tratta di personali pregiudizi, ma di comparazioni rispetto a chi ha già percorso da tempo la strada delle privatizzazioni.
Permettetimi ora, di parlare brevemente di quanto accade nel settore finanziario,data la complessità, non posso che banalizzare un po’ il discorso, tuttavia devo ancora capire la motivazione per la quale lo stato intervenuto a salvare il settore debba poi vendere o svendere i suoi asset.
Ovviamente il settore bancario andava salvato, il punto semmai è a che prezzo, a quali prospettive e con quali regole d’ingaggio, per così dire. Sicuramente il prezzo pagato dai cittadini sammarinesi per effettuare questo salvataggio, peraltro ancora lontano dall’essere concluso, è molto alto; ma cosa ancora più grave non è dato ai cittadini conoscerne le prospettive. Un panorama certamente fosco ma,probabile è quello che la collettività si sia accollata l’onere di risanare posizioni di passività generate da gestioni molto discutibili per poi vedere rivendere la parte sanata del settore a realtà ancora una volta poco trasparenti, vicini agli interessi che hanno determinato il dissesto attuale, e senza nessuna garanzia di aperture a nuovi investitori con la creazione di un settore bancario compiuto, che magari non si dedichi solo alla raccolta di denari ma che ponga le basi alla nascita di un settore finanziario vero e proprio.
E’ un diritto di tutti i cittadini e di tutti i lavoratori che prestano la loro opera a San Marino di conoscere quali sono le reali intenzioni rispetto a questa situazione. Sono convinto che in questo settore, come in altri, dobbiamo modificare la nostra attitudine alla chiusura, a trovare soluzioni, passatemi il termine “intime”, dovremmo invece definire i rapporti internazionali che oggi ci impediscono di maturare, in primis attraverso Banca d’ Italia.
Purtroppo anche l’ultimo capitolo di questa posso definire triste storia, non depone a favore della limpidezza; la gestione dei famigerati NPL di Cassa di Risparmio è stata infatti perlomeno fumosa; innanzitutto il tasso di realizzo che è stato a quanto pare attorno al 7% quindi circa 1/3 rispetto alle medie di realizzo che si ottiene dalla vendita dei non performing loans che appunto si aggira attorno al 20% . Peraltro al fine di valutare quanto sarebbero performanti questi crediti sono state commissionate e ben pagate diverse agenzie private, forse ci sia sarebbe potuti rivolgere ad una agenzia europea apposita che si chiama ESMA –Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati- per avere una valutazione neutrale e probabilmente anche gratuita, così non è stato fatto.
La cosa che lascia ancora più perplessi però è che l’operazione sia stata condotta nonostante il nostro tribunale abbia messo in luce come attorno a questa operazione si fossero addensati interessi che vedrebbero coinvolti poteri forti e vaste aree del paese, cosa che avrebbe preteso un rallentamento della cessione degli Npl, da noi è invece accaduto il contrario di quello che il buon senso avrebbe voluto, si è infatti impressa una forte accelerazione al loro processo di vendita. Una situazione, dunque, tutt’altro che chiara, che fa nascere più di un sospetto riguardo alle reali finalità e spirito con il quale è stata condotta l’intera operazione.
L’unica risposta razionale che sono riuscito a darmi è che il nostro minuscolo mercato interno sia così asfittico di liquidità che seppur sottopagati l’urgenza sia così opprimente e grave da far propendere ad una svendita pur di realizzare qualcosa subito; indubbiamente in tali condizioni sarebbe difficile mercanteggiare un trattamento diverso.
Ritengo tuttavia che se tale fosse la situazione del paese, proprio perché siamo una piccola comunità, chi ha la responsabilità di scegliere cosa fare debba cercare di affrontare la questione più a fondo, con il coinvolgimento vero degli attori sociali, con le loro associazioni, con il paese tutto, non promuovendo politiche di piccolo cabotaggio al sol fine di tirare avanti fino alle prossime elezioni. Ovvio che se non si fa questo si possa creare nel paese l’idea che vi siano dei “padroni del vapore” che dicono all’esecutore di turno cosa deve fare. Ma questa è ovviamente solo una suggestione.
In tutta questa situazione, una cosa che mi sorprende, perché non riesco a capirla, è che ancora oggi, nonostante tutto, e quello che sto per dire è confermato dalle azioni che l’esecutivo vuole mettere in atto nella prossima legge di bilancio, il capro espiatorio dei mali della società sembra ancora essere la pubblica amministrazione con i suoi dipendenti. Si perché di tutta l’attività riformista declamata dall’attuale governo, non rimane che un capitolo: i tagli ai salari dei dipendenti pubblici. Dove è finita l’equità fiscale? Ci dicono che per questa c’è tempo… Una politica attrattiva verso potenziali investimenti? Beh l’economia è in ripresa e la costruzione del Polo del Lusso va a gonfie vele…
Un serio confronto con attori istituzionali europei in merito ad un nostro ruolo all’interno dell’unione? Ci stiamo lavorando ovviamente. I rapporti con Banca d’Italia rispetto al memorandum di intesa quale passo sostanziale per lo sviluppo di un moderno sistema finanziario? Abbiamo avviato intensi rapporti. Cambiano i governi ma la musica è sempre la stessa.
Per fortuna che una parte del governo è attiva sui tagli agli stipendi, singolare che di tutta l’attività riformista conclamata si sia scelto di mandare avanti solo questo superficiale progetto; è superficiale perché è dettato da pregiudizi e da dogmi, ma lo è anche perché ha effetti superficiali, tutta l’operazione non porterà che circa 3mln di euro in più alle casse statali; ben poca cosa quindi. Singolare è anche che questo onore, venga portata avanti dalla Segreteria più alla sinistra di quelle rappresentate.
Singolare che questa parte politica vada avanti a testa bassa quando altre riforme sono state accantonate, con segreterie che si sono appunto defilate. Quello che ormai da più di un anno ci viene propinato come necessario si caratterizza per tre aspetti la misura dei tagli è infatti: INIQUA, INEFFICACE, ANACRONISTICA.
INIQUA: perché è profondamente ingiusto chiedere sacrifici sempre al mondo del lavoro, quando vi sono intere categorie che hanno contribuito, Da sempre, poco o nulla alla vita del paese. La riforma fiscale del 2013 è ricaduta in toto sulla classe lavoratrice, quanto vogliamo andare ancora avanti? C’era forse scritto nel programma elettorale di Adesso.sm che prima di colpire gli evasori avremmo fatto dei tagli agli stipendi? Quanto possiamo tollerare, quanto possiamo ancora farci prendere in giro?
Realizzando il taglio sui salari pubblici questo governo mira, molto subdolamente, e forse c’è già riuscito, a creare una spaccatura del mondo del lavoro tra chi sarà colpito dai provvedimenti e chi no, realizzando la stessa politica, a parti inverse, che altri governi hanno fatto con l’imposizione di quella che abbiamo definito all’epoca “tassa razziale” a carico dei lavoratori frontalieri. Avrei gradito sentire, come si sentì in quella occasione, un NO compatto di tutto il sindacato rispetto a tale intenzione.
INEFFICACE: perché come detto precedentemente colpisce la capacità di spesa delle famiglie in un contesto economico in cui i consumi sono già stati ampiamente colpiti, come confermato dai dati del nostro ufficio statistica che prima riportavo. Và da se che un ulteriore taglio alla capacità di spesa si rifletterà negativamente sulla economia.
ANACRONISTICA: perché come abbiamo detto prima, le politiche di austerity sono state abbandonate, hanno fallito, piaccia o no questa è storia. Il dibattito politico europeo è centrato non sul SE fare deficit, ma sul QUANTO fare deficit….oggi si parla di quanto sforare i limiti che ci si era imposti ma che sono inattuabili, PENA il peggioramente dell’economia. Il pareggio di bilancio in certe condizioni è un pericoloso dogma.
Inutile avere i conti a posto se abbiamo smantellato lo stato sociale o abbiamo impoverito l’economia e le famiglie residenti. Non credo che un cittadino nigeriano o congolese sia più felice di un cittadino Giapponese perché il proprio stato ha un debito di circa il 15%rispetto a quello giapponese che è il più indebitato al mondo con un ammontare del 250% sul pil, non so voi ma nonostante questo dato io preferirei vivere in Giappone, che in Nigeria.
Le leggi di bilancio sono una cosa molto poco ragionieristica e molto ma molto politica; da qui l’amarezza, probabilmente non è per tutti così, di una persona come me crede nei valori come equità, giustizia, redistribuzione, progresso, condivisione, che vede questi stessi valori calpestati in virtù del freddo bilancio di pareggio, tutto ciò è disumanizzante, e credo che lo dovrebbe essere anche per chi ci propina queste false soluzioni. Se non avessimo la conferma dei casi di cui dicevo prima potremmo avere il beneficio del dubbio ma non è così nemmeno da un punto di vista storico.
Credo che i valori che elencavo prima debbano essere come un faro per chi fa politica, perché chi fa politica deve avere la pretesa di voler fare progredire l’umanità verso la realizzazione di questi principi, di dare un piccolo contributo verso il lungo cammino dell’uomo nel mondo che lo deve portare ad una società di eguali, una società di uomini liberi. Scoprire che invece questi stessi principi sono stati usati per fini elettoralistici, rappresenta per me il peggiore dei tradimenti.
L’accanimento, perché è difficile definirlo diversamente, rispetto ai salari pubblici è difficilmente spiegabile anche sotto altri punti di vista. Lo è perché essi rappresentano solamente 1/3 di quella che è la spesa pubblica.
La nostra federazione, insieme alla FPI-CDLS, ha sempre, anche nelle ultime occasioni di incontro, richiesto di volere iniziare un confronto sulla restante fetta che rappresenta i 2/3 della spesa pubblica. Qualche anno fa abbiamo cominciato a denunciare le spese più macroscopiche della nostra amministrazione; purtroppo da allora non molto è cambiato, non ci è mai stata data l’opportunità di approfondire il confronto sugli appalti pubblici. Alcune cose da noi richiesta a gran voce hanno cominciato il loro percorso, come, ad esempio, la centrale Unica Acquisti, che deve diventare l’unica stazione appaltante della pubblica amministrazione di San Marino e mettere in atto politiche di acquisto in collaborazione con le amministrazioni locali limitrofe così da potere realizzare economie sulla quantità degli acquisti, realizzando quelle “economie di scala” altrimenti difficilmente realizzabili per una piccola realtà come la nostra.
Quella del realizzo di tali politiche di acquisto è un obiettivo da perseguire soprattutto in ambito sanitario, dove i materiali e le attrezzature hanno un costo particolarmente elevato. In ambito sanitario va sottolineata l’importanza delle politiche sulla compravendita dei farmaci, una attività fonte di notevoli guadagni per l’ISS ma che se perfezionata potrebbe dare risultati economici sorprendenti.
Ma questa, relativa agli acquisti dei beni e servizi, è solo una parte della spesa per gli appalti che ha bisogno di una ulteriore differenziazione in quanto all’interno di essa la più importante è quella effettuata per i lavori pubblici, settore nel quale, non abbiamo neppure scalfito quel muro di gomma che ci si è posto davanti; per citare solo l’ultimo fatto un mese fa circa io e Milena siamo stati minacciati di querela da parte dell azienda per i lavori pubblici per il solo fatto di aver invitato l’amministrazione a fare più attenzione alla gestione di questo tipo di spese, suggerendo che forse non tutto viene svolto secondo il principio di efficienza, nell’interpretazione delle norme, che sicuramente si applicano, si possono infatti realizzare gli obiettivi che qualcuno si prefigge, ciò impone un controllo costante.
Vorremmo capire meglio come vengono costruite le gare di assegnazione, poi vorremmo conoscere, vedere fisicamente i contratti che ne conseguono e se essi contengono penali adeguate in relazione agli adempimenti che sono previsti, se tali contratti vengono fatti rispettare in ogni loro parte. Se vi sia una adeguata pubblicità riguardo alle modalità di partecipazione a tali gare. Chiediamo che il sistema sia aperto il più possibile anche alle realtà limitrofe si perché a noi non interessa che vinca la gara la ditta sammarinese, a noi interessa che la ditta che si aggiudica l’appalto utilizzi, per la realizzazione dell’opera, in primis personale iscritto alle nostre graduatorie, è inutile,infatti, favorire una impresa del territorio se poi non si prende questo impegno.
Tutto questo non ci è mai stato concesso né dell’né dall’AASLP; non ci è concesso nemmeno in un periodo di Spending Review, per qualcuno dovremmo solo contrattare la meno peggio delle situazioni, per così dire, lasciando andare il sistema e il Paese come è sempre andato. Subdolamente ci viene chiesto senso di responsabilità, accettare senza guardare insomma.
Tutto ciò è inaccettabile, noi siamo una associazione di lavoratori e in primis dobbiamo difendere chi abbiamo la pretesa di rappresentare, ritengo infatti che altri interessi siano bene e forse meglio rappresentati dei nostri; come si identifica questo senso di responsabilità? In questi anni mi sono sempre sentito responsabile di quello che facevo e degli impegni che assumevo per altri, la responsabilità che ci viene propinata oggi ha il puzzo degli interessi altrui invece, noi non possiamo per DNA difendere gli interessi di qualcun altro che sia esso un finanziere, un partito, degli imprenditori o qualsivoglia coalizione di governo; noi rappresentiamo la cosa più pulita che c è la professionalità del lavoro e chiediamo rispetto in virtù di essa! Ci chiedono responsabilità, a noi! Noi che abbiamo pagato sempre fino all’ultima lira di tasse; al tavolo di confronto un paio di occasioni fa ci è stato detto di spogliarci del ruolo che abbiamo, mai metafora fu più azzeccata probabilmente volevano dirci che avremmo dovuto restare in mutande!
Mi chiedo se lo stesso discorso lo abbiano fatto a chi evade le tasse, perché con grande senso di responsabilità direi, anziché proporre il taglio sui salari il governo non pensa a delle misure una tantum da applicare su quelle categorie che da sempre non contribuiscono. Nel penultimo confronto ci è stato detto che l’attività di controllo rispetto all’evasione è a pieno regime e che 150 controlli hanno accertato l evasione di oltre 500.000 euro, bene, è questa quindi un area di grande evasione dove applicare una tassazione una tantum, transitoria appunto fino a che non vengano attuati seri controlli fiscali, anche il taglio degli stipendi sarebbe infatti una misura temporanea per due esercizi; perché, quindi per applicare una misura transitoria si va ad intaccare un accordo contrattuale?
Quello che diciamo anzi ripetiamo al governo è che non c’ è responsabilità senza equità! Per me, se non si fosse capito, non è una questione di manovra fiscale, è una cosa molto più profonda e importante, è giustizia sociale, che se non realizzata perpetra una mentalità da staterello medievale, dove ci sono signori, signorotti e servi della gleba! Altro che terra della liberta!
Insistenti richieste di taglio dei salari e di servizi pubblici che vengono offerte alla opinione pubblica in maniera subdola, sotto le false vesti della responsabilità e addirittura del miglioramento dei servizi; è questo anche il caso del prelievo forzoso sugli stipendi pubblici che abbiamo subito l’anno scorso, prelievo che il governo ha “camuffato” qualificandolo come contributo di solidarietà, peccato che lo stesso governo non abbia mai provato di destinare tale risparmio agli ammortizzatori sociali. O ancora e ancor peggio, come nel caso del decreto scuola vilmente presentato, già pronto e confezionato, a fine dell’anno scolastico temendo forme di reazione sindacale, che comunque ci sono state da parte del mondo della scuola.
Decreto inutile, inefficace, che crea notevoli complicazioni agli insegnanti e ai loro dirigenti, sempre più impegnati in calcoli da impiegato di cassa riguardo le ore a debito, senza sapere realmente come utilizzarle. Di qualche settimana fa l’incontro con la Segreteria per la Pubblica Istruzione che ha dimostrato quanto andiamo dicendo da mesi! E cioè che si era fatto il tetto prima della casa, mettendo in piedi un castello che non si regge, che non prevedeva come le cosiddette “ore a debito” potessero essere recuperate…
Ad oggi a tre mesi dall’inizio dell’anno scolastico non c è ancora nulla di concreto, tutta teoria. Si pensava di potere organizzare corsi di recupero per chi ne avesse più bisogno nei pomeriggi, peccato che gli stessi studenti abbiano una vita fuori della scuola con impegni sportivi, o di altre attività; noi del resto avevamo solo chiesto un anno di tempo proprio per analizzare meglio le situazione che il decreto creava, non ci è stato concesso e questi sono i risultati.
La realtà è che il tema della riorganizzazione della macchina pubblica non può essere trattato con superficialità con pressapochismo, il caso del decreto scuola è emblematico di come avvenga il contrario, di come l’approccio sia troppo spesso dettato dal pregiudizio rispetto a certe categorie che sarebbero poco produttive, è molto grave che siano i pregiudizi a dettare la linea di governo.
Un provvedimento che può anche sembrare lieve, se non analizzato in tutte le sue implicazioni, può minare degli equilibri sedimentati da anni. Anche il discorso alla base del decreto sul fatto che le ore debbano essere di 60 minuti, è basato su un pregiudizio, sul fatto che si pensa che le ore di 50 minuti siano così concepite perché gli insegnanti abbiano poca voglia di lavorare, non si pensa che quel modello orario è così studiato perché è basato sulla tempo di concentrazione medio di uno studente. Vero che ci sono modelli scolastici che già adottano i 60 minuti ma all’interno di un sistema completamente diverso dal nostro.
Per continuare sulla spending review, continuiamo a contestare la politica relativa alle convenzioni, viviamo in un paese che fa convenzioni ormai per fare qualsiasi cosa, con esperti di ogni tipo; la politica turistica è totalmente condotta seguendo questa linea, senza capire che tante cose potevamo continuare a farle noi, forse meglio e con una spesa molto più bassa.
Convenzioni, esternalizzazioni, scelte strategiche fatte chissà da chi quando un moto gp costa 1mln di euro, un evento organizzato a Misano che non porta un euro di indotto in Repubblica. Tra un po’ è Natale, e potremo deliziarci alla vista delle casette di legno e delle luminarie costate oltre 400 mila euro, per un evento che è uguale ogni anno, da 15 anni e che quest’ anno, in regime di spending review costerà il doppio dell’anno scorso! Centinaia di migliaia di euro sprecati, al vento, e questi signori a chiedere ai propri dipendenti di avere responsabilità, e di accettare politiche di taglio quando il rinnovo contrattuale latita da 9 anni e si è perso il 13% in potere di acquisto.
Non capisco ancora chi, a fronte di tutto questo, ritiene che la federazione debba venire a più miti consigli e accettare il male minore, per così dire. Questa visione di concertazione è almeno sbagliata, non possiamo trattare a queste condizioni, sapendo come si utilizzano i quattrini dei contribuenti. Al tavolo della trattativa abbiamo portato numeri e proposte mai prese in considerazione. Qualcuno pensa che queste siano deboli; vi chiedo se a fronte di quanto detto prima vi sembra debole sostenere politiche espansive rispetto a politiche di austerity? Vi sembra debole pretendere di avere attenzione rispetto a quello che accade nel mondo?
Chiedere di capire perché gli altri hanno cambiato idea? Vi sembra debole chiedere di affrontare i tagli con un approccio che preveda misure prima sulla parte più importante della spesa pubblica rappresentata da quei 2/3 che non sono i salari? Vi sembra debole sostenere che se è vero che nel paese negli anni si è permessa una evasione fiscale che probabilmente a livelli % non ha eguali nel mondo occidentale sia tempo di prevedere una reale lotta ad essa? Vi sembra debole sostenere che per i prossimi due anni anziché prevedere tagli ai salari pubblici si applichino misure una tantum che vadano a colpire proprie quelle aree che hanno evaso il fisco?
Vi sembra debole sostenere di non ridurre la capacità di spesa delle famiglie che grazie ad essa hanno sostenuto l’economia del paese in questi anni di crisi, quelle stesse famiglie dove magari qualcuno aveva perso anche il posto di lavoro? Vi sembra debole sostenere le virtù del servizio pubblico e cercare di mantenerlo in vita poiché dove questo è stato svenduto agli interessi privati si sono create difficoltà nei servizi e maggiori costi per la popolazione? No, a noi non sembra per nulla debole, a noi sembra perfettamente giusto!
Come può una forza sindacale, di qualsiasi sigla ed ispirazione essa sia, non opporsi a tutto ciò? Come può dirsi difensore dei diritti dei propri associati se non denunciando ed opponendosi a tale stato di cose?
La realtà è che non c’è nessuna volontà di fare andare meglio le cose, accennavo prima al gran numero di convenzioni che sono fonte di grande spreco, facciamo convenzioni ormai anche per organizzare una sagra paesana ma sulla politica di bilancio no, abbiamo commissionato, è vero,studi costosissimi affidati ad agenzie private che hanno fornito consigli rispetto a politiche da seguire sui vari settori; non è mai stato affidato uno studio rispetto alle politiche di espansione, si perché credo che la politica debba individuare cosa fare e in questo campo capire cosa possiamo attuare a san Marino; se preferiamo impoverire il Paese piano piano o se tentare il rilancio coinvolgendo chi rispetto ad una progettualità espansiva ha qualcosa da dire.
Con tutto ciò, come detto, non abbiamo mai avuto nessuna difficoltà ad affrontare i temi della riorganizzazione pubblica, finalizzati a portare maggiore efficienza, in questi anni si sono firmati decine di accordi, alcuni di essi oggi come oggi non li firmerei, poiché i timori che avevamo in federazione si sono spesso rivelati fondati. Fondamentalmente, i vari atti di riforma che si sono susseguiti in questi anni scontano tutti lo stesso vizio, lo stesso peccato originale, e cioè che sono pensati e creati sulla carta, spesso non partono quindi da una reale e puntuale studio di cosa si fa negli uffici, nelle scuole, nella sanità; si sono applicate soluzioni teoriche senza conoscere le dinamiche di lavoro, la professionalità dei dipendenti, cosa e come, con quali difficoltà ognuno di essi quotidianamente opera. Manca spesso un punto di connessione tra la teoria e la pratica col risultato che anziché migliorare la qualità del servizio, lo si peggiora.
Come per costruire una casa è necessario partire dalle fondamenta, è necessario partire dall’osservazione dello stato delle cose. Il passo precedente a quello della osservazione deve però essere quello delle scelte; scelte necessarie un po’ ovunque nella organizzazione dei servizi, se riteniamo fondamentale che lo stato non perda quelle funzioni tipiche del welfare state rispetto ai suoi cittadini, riteniamo anche essenziale, proprio per difendere la qualità del servizio offerto, non più prorogabile effettuare scelte nel campo sanitario, cosa vogliamo fare del nostro Istituto Sicurezza Sociale, cosa del nostro nosocomio. Anche in federazione rispetto a questo tema il dibattito è aperto, personalmente ritengo che partendo dal principio di gratuità del servizio sanitario a livello universale, a cui non va fatta deroga, e del mantenimento del massimo standard possibile sia ormai urgente individuare cosa possiamo sviluppare appieno e cosa non riusciamo più a sostenere.
Ritengo che proprio per raggiungere la massima eccellenza le dimensioni della struttura e il relativo bacino di utenza siano un grosso limite. Da qui l’idea, non certo originale, poiché se ne parla da anni, di cominciare un percorso che individui gli ambiti della nostra eccellenza attuale o che si vuole sviluppare internamente e di parimenti identificare quelle eccellenze esterne sui servizi che non riusciamo a sviluppare con efficacia; entrare quindi in una logica di rete con le realtà, in primis limitrofe, per garantire il migliore dei servizi sanitari. Per fare tutto ciò ci sarà bisogno di anni, ovvio che chi non parte mai non arriva mai a destinazione.
L’altro pilastro del servizio pubblico e del welfare state, l’istruzione… Istruzione i cui temi sono affrontati con decretini burocratici; ho sempre pensato che nella scuola si dovesse partire dalla didattica e che l’organizzazione si dovesse regolare di conseguenza per avere una didattica migliore possibile, come ho già detto prima pensavo che vi fosse una logica alla base del fatto che le ore di lezione non fossero di 60 minuti, pensavo che questa fosse strutturata sulla capacità di attenzione dello studente, non sapevo che i 10 minuti in meno fossero un regalo agli insegnanti. Anche qui evidentemente sbagliavo, e per fortuna che c è il Segretario di Stato a spiegarmi come stanno realmente le cose.
Scherzi a parte, credo che in un ambito professionale talmente peculiare come l’istruzione se si ha volontà di migliorare, si ha l obbligo di partire dagli insegnanti, questo a prescindere dall’ultimo provvedimento che ho già criticato prima. Trovo molto presuntuosa l’idea che si possano calare dall’ alto provvedimenti senza conoscere la realtà in cui si vanno ad applicare. Dico questo non per resistenza ai cambiamenti, ben vengano i cambiamenti, quelli utili però, cambiare per cambiare, per dimostrare che si è capaci, magari basando e sfruttando pregiudizi che non hanno nessuna base razionale, non è nemmeno qualificabile come attività riformatrice.
E’ strano, se non distonico, poi, sentire parlare di Polo Scolastico, di progetti faraonici e grandi investimenti per vedere in realtà attuare politiche che vanno esattamente nella direzione opposta. Forse, umilmente, sarebbe opportuno ripartire dai reali bisogni di chi insegna e di chi impara, a che punto è, ad esempio, la verifica sulle strutture scolastiche, o se abbiamo le attrezzature più idonee a supporto dell’insegnamento. Ben accettiamo quindi l’intenzione di fare del nostro modello formativo un esempio e un polo di attrattiva anche da fuori San Marino, rileviamo però come tale idea sia un po’ in contrasto con la riduzione delle classi, o col prevedere nelle stesse lezioni alunni di età diversa.
Ora vorrei dedicare un minuto al sindacato, alla nostra organizzazione e del termine sotto il quale operiamo, la parola CONFEDERALE. E’ un termine che troviamo sia nelle forme organizzative di alcune nazioni, che in alcuni tipi di organizzazione, come la nostra. E’ un bel termine perché implica e riconosce, al tempo stesso, libertà e unione; appartenenza ad una unità riconoscendo e rispettando però le peculiarità delle varie componenti. Il livello della confederalità è il punto dell’unione dei tanti in un unico, dove ognuno sceglie di sacrificare una parte della propria libertà per essere più completo, più forte. Implicito quindi nel livello confederale il riconoscimento e il rispetto delle varie parti dell’unità; credo che l’ assetto confederale vada mantenuto vivo con questo spirito.
CONCLUSIONI
Ora, per me questo Congresso rappresenta un momento molto particolare poiché con esso termina il mio 3° mandato Congressuale con la carica di Segretario di Federazione, a dire il vero 3 mandati e mezzo, poiché inizialmente subentrai nella carica in un momento di difficoltà della federazione, nel mezzo appunto di un mandato. Tre mandati dicevo e siccome ci sono delle regole credo debbano essere rispettate.
Sono d’accordo che talvolta le regole possano essere interpretate e che non debbano ingessare la vita delle organizzazioni, o di metterne in pericolo il lavoro. Se ritenessi quindi che la federazione fosse in tale situazione, non avrei difficoltà a mettermi nuovamente a disposizione. Sono convinto però del contrario, sono convinto che la nostra federazione abbia le risorse interne per potere rispettare, appunto, queste regole. Penso che nessuno abbia dubbi sulla possibilità, che avrà il prossimo Consiglio direttivo che si eleggerà pomeriggio ad identificare la figura idonea al ruolo. Sono anche sicuro che chi gravita attorno alla federazione e il nuovo organismo che nascerà oggi possa e debba andare ancora e più che mai il proprio contributo.
Permettetemi di ringraziare Antonio, compagno di un ormai lungo viaggio…, persona sempre affidabile e preparata. Ma ancora di più un amico, di quelle amicizie che nascono dal rispetto dato dalla conoscenza reciproca, maturata negli anni.
Cinzia, l’ultima arrivata, che mette molto impegno in quello che fa, e alla quale ripeto, ancora una volta, che deve solo avere pazienza, e che i risultati del lavoro arriveranno, e che comunque ci sta già dando una grossa mano.
Federazione che quindi è in buone mani e credo debba continuare seguendo le direttrici che ha tenuto finora. In questi anni, nella tutela del pubblico impiego, abbiamo cercato, in primis, di lavorare per tutelare i più deboli, chi aveva più difficoltà; le due stabilizzazioni del 2012 e 2016 sono frutto di questa precisa volontà ed impegno delle federazioni pubblico impiego della CSU, pensate che considerando sia i precari in senso stretto che i precari interni tali provvedimenti hanno riguardato quasi la metà dei dipendenti della pubblica amministrazione. Una grande opera di giustizia e di riconoscimento della professionalità.
Ora è necessario procedere per la tutela del personale a contratto ex privatistico per intenderci, che non sono rientrati nell’ultima stabilizzazione e che normativamente sono rimasti ingabbiati in uno sfavorevolissimo contratto, che, per dirne una, prevede la maturazione di 1 giorno di ferie al mese; se non sarà possibile stabilizzarli subito diventa indispensabile se non altro riconoscere un egual trattamento normativo.
Anche per questo dobbiamo aprire subito la contrattazione per il rinnovo del contratto di settore, richiesta che puntualmente facciamo ad ogni occasione di incontro ma che giace inascoltata.
In tale occasione dovremo affrontare il tema del Nuovo Regime Retributivo e Normativo, impegno già preso in occasione degli accordi di stabilizzazione, nuovo Regime che sì, potrà nascere a patto però che si riduca, per legge, il precariato a periodi ragionevoli, molti dimenticano infatti che in occasione della stabilizzazione del 2012 vi erano lavoratori precari da 15 anni! Alla faccia dei lavoratori privilegiati del pubblico impiego! Vediamo solo possibile quindi uno scambio tra questi due parametri dove a fronte, poniamo degli scatti di anzianità per chi entrerà nel Nuovo Regime, vi sia la contropartita del posto di lavoro in tempi ragionevoli attraverso un processo di selezione.
Ma avevo detto che queste erano le conclusioni, oltre a ringraziare di nuovo i miei colleghi più vicini; devo ringraziare Giuliano che rappresenta la storia e l’autorevolezza dell’organizzazione; Enzo rispetto al quale anche se non sempre la pensiamo nello stesso modo ciò non significa che non ne ammiri le capacità professionali e di approfondimento; Alfredo Stephan e Diego che hanno rilanciato la loro federazione; Elio Nerina e ; il biker Willy e il mitico Agostino, IVAN e Emanuel, che devo ringraziare in modo particolare per aver curato il montaggio delle diapositive con la musica; Andrea sempre disponibilissimo su tutto; tutto il personale della CSU le ragazze del centralino, l’amico/nemico Steve, lui sa perché, Luciano, Graziella e tutto il resto del personale.
Un ringraziamento particolare va alla FPI sia quella vecchia che quella nuova, quindi a Sandro, di cui oltre alla professionalità mi manca la capacità di sdrammatizzare; Morena anche lei nel tempo divenuta una amica, Riccardo, una quercia dove trovare riparo dalle intemperie. E i nuovi Milena e Cesare coi quali abbiamo un rapporto basato sulla stima reciproca, in un momento di attacchi e difficoltà.
Insomma un grazie a tutti, ma soprattutto alla gente nostra iscritta che ha voluto collaborare con noi perché ha capito che il sindacato senza la gente, senza le idee, non è nulla.
Grazie.