Nel cuore di Tashkent, crocevia di culture, storia e contraddizioni, si sta svolgendo la 150ª Assemblea Generale dell’Unione Interparlamentare. Ho l’onore di partecipare come delegata, portando con me un messaggio chiaro, urgente e necessario: quello di un’azione parlamentare che sia realmente giusta, perché giusta per tutte e tutti. Ho scelto di fondare il mio intervento sul documento “Azione parlamentare e giustizia”, al quale ho lavorato con dedizione, ma sentivo che non bastava. Non si può parlare di giustizia senza denunciare l’ingiustizia più antica e ancora troppo presente: quella contro le donne. Nel mio intervento, ho sostenuto senza giri di parole: le donne non sono una minoranza da proteggere, ma una maggioranza da ascoltare e rispettare. In troppi Paesi del mondo, ancora oggi, la loro voce viene soffocata, la loro presenza ridotta a ornamento, i loro diritti sistematicamente violati. Il caso dell’Afghanistan è il simbolo tragico di questo abisso: bambine a cui viene negata l’istruzione, donne bandite dalla vita pubblica, cancellate dallo spazio civile come se non esistessero. Ma non è solo lì. In Iran, in Somalia, in Yemen, in alcune aree dell’Africa subsahariana e dell’Asia centrale, la condizione femminile è schiavitù mascherata da tradizione. Non possiamo restare in silenzio, non qui, non ora. Durante il Forum sui Diritti delle Donne e la Parità di Genere, a cui ho partecipato con emozione, ho lasciato il mio contributo richiamando l’intera comunità interparlamentare a un atto di coraggio: passare dalle parole ai fatti, promuovendo leggi vincolanti, programmi educativi trasformativi, azioni parlamentari che non siano solo “per le donne”, ma con le donne, protagoniste. La parità di genere non è un’utopia, ma una scelta politica. Una visione concreta che parte da un principio semplice: la donna non è un soggetto fragile da compatire, ma un valore aggiunto da liberare. Serve più presenza femminile nei parlamenti, nei governi, nelle istituzioni di controllo, nei tavoli dove si decide davvero. Ma serve anche un cambio culturale, che comincia a scuola, nei media, nella narrazione del potere. Nessuna democrazia può dirsi compiuta se metà della popolazione viene esclusa o maltrattata. Nessuna giustizia può dirsi tale se accetta in silenzio la violenza, il silenzio imposto, la negazione di opportunità e libertà. Io non sono qui solo per denunciare. Sono qui per proporre, per costruire ponti, per condividere strumenti. Perché un’altra rotta è possibile. Una rotta fatta di leggi che tutelino concretamente, azioni che promuovano leadership femminili, e reti internazionali che non si fermino davanti all’indifferenza o alla paura. Come diceva Simone de Beauvoir, “Basta una crisi politica, economica o religiosa perché i diritti delle donne vengano rimessi in discussione”. Noi dobbiamo essere la risposta forte, corale, decisa a ogni tentativo di regressione. Con fermezza e con passione. È tempo di ribaltare le gerarchie ingiuste. È tempo di rendere la giustizia davvero inclusiva. È tempo, finalmente, di mettere le donne al centro. ù
Gemma Cesarini
Delegata alla 150ª Assemblea dell’Unione Interparlamentare