Aborto: c’è qualcosa che viene prima della politica
«A volte ritornano…»: sembra che la furia nemica della vita nel grembo materno sia sempre pronta a ritornare per infliggere a un popolo buono il suo castigo di morte. Sì, perché di morte si tratta, e di morte degli esseri più indifesi in questo mondo. E l’anestetico compassionevole del mantra secondo cui di libertà e di conquista si tratta tenta di farci dimenticare la triste realtà dell’aborto. Quante volte abbiamo sentito questi assiomi fondamentali che risuonano indiscussi e scontati per tutti i cittadini evoluti: “difendiamo il diritto della donna ad una maternità libera e consapevole”, “la società si fonda sulla libertà di scelta dei cittadini”, “lo Stato non può imporre alla donna di trascinare una gravidanza che non vuole”, “siamo già troppi in questo mondo”, “far nascere un figlio disabile significa condannarlo all’infelicità”, “la società democratica promulga leggi che tutelano la laicità dello Stato e la libertà di tutti i cittadini”, “la vita umana comincia quando c’è uno stato di coscienza e di autonomia”, “imporre di continuare una gravidanza è fascismo”, e via dicendo. A volte anche tra i cattolici si sono sentite affermazioni non coerenti con le convinzioni religiose che fanno parte del patrimonio di fede e di insegnamento della propria storia, accettando una divisione tra fede privata e vita pubblica che sembra più una rinuncia all’impegno che una testimonianza di verità. In particolare è stata accettata la trappola della cosiddetta laicità, che ha cancellato il diritto e dovere di affermare la verità, in nome di un errato concetto di libertà di coscienza. Diciamo questo a tutti coloro che ci ascoltano e ci leggono senza pregiudizi, nella speranza di potere contrastare questa deriva di morte che sembra volere riprendere il suo cammino qui nella nostra cara Repubblica, «Antica terra della libertà». Abbiamo infatti sentito le parole di chi, in questi giorni, nel Consiglio Grande e Generale ha richiesto che si riprenda in mano la legge che consente l’aborto in San Marino. E penso che di fronte alla consapevolezza della originalità della nostra storia non possiamo neppure cedere al ricatto di chi ci vorrebbe vedere simili e allineati con le nazioni che non solo tollerano, ma addirittura promuovono l’aborto come diritto e conquista di civiltà. Il magistero della Chiesa ha definito la politica come la più alta forma di carità, mostrando a chi si mette a lavorare in politica - soprattutto ai cattolici - il traguardo di una società più vivibile, al servizio del Bene comune. Ed è certo che per questo tra i fondamenti irrinunciabili ci sono quelli che vengono chiamati «principi non negoziabili»: ed è evidente che uno di questi è proprio la difesa della vita dal suo annunciarsi al suo spegnersi. E oramai è segno solo di ignoranza e malafede non riconoscere che, proprio dal suo inizio col concepimento, di vita umana si tratta e, come ogni vita umana, è indisponibile, nessuno ne può essere padrone, solo tutore e garante. Certamente spetta alla politica esprimere, mediante le leggi, un progetto che salvaguardi il bene comune, ma ritengo che ci sia un compito e un impegno che ci riguarda tutti personalmente, in quanto uomini, dotati di ragione e di volontà libera. La coscienza non può né potrà mai essere delegata a nessuno, questo ci hanno insegnato le tragedie del XX secolo. E il compito della difesa della vita, di ogni vita, riguarda l’impegno che ciascuno di noi ha in eredità dalla comune natura umana, dal cuore che abbiamo insieme a ogni altro essere umano. Noi non possiamo essere i disertori dell’umano. E, per un cristiano, questo è il messaggio più bello che possiamo lanciare al mondo. E di cui essere fieri e testimoni.
Don Gabriele Mangiarotti