Allegro Vivo: Il quartetto Adorno sul Titano, una serata di eccellenza musicale fra Beethoven e Dvorak
IL QUARTETTO ADORNO SUL TITANO: UNA SERATA DI ECCELLENZA MUSICALE TRA BEETHOVEN E DVORAK
Applaudito in tutto il mondo, dalla Chigiana alla Wigmore Hall di Londra, il Quartetto Adorno si esibirà a San Marino Mercoledì 10 luglio alle ore 21,00. Il concerto inaugura un’importante rassegna musicale, la Quarta Edizione di "Classica Giovani" al Chiostro dei Padri Servi di Maria a Valdagrone. È organizzata dall’Associazione musicale Allegro Vivo, rinomata per il suo impegno nella diffusione della musica classica con manifestazioni di alto profilo. Il quartetto è composto da Edoardo Zosi al 1° Violino; Liù Pelliciari al 2°Violino; Benedetta Bucci alla viola; Francesco Stefanelli al violoncello e proporrà brani tratti dal repertorio cameristico. E se si dice musica da camera subito vien da pensare ai Quartetti di Beethoven che dedicò al mecenate Conte Razumovsky. Composizioni che riflettono la maturità sinfonica del compositore e offrono uno sviluppo tematico, armonico e formale in grado di superare la tradizione classica. La seconda parte del programma è dedicata a Dvorak con l’American Quartet dove tutto scorre attraverso temi che si articolano in una intelaiatura strumentale densa di timbri e di ritmi vivaci e suggestivi. Ne parliamo col primo violino Edoardo Zosi che insieme agli altri tre musicisti suonano tra l’altro con prestigiosi strumenti antichi.
Come è nato il Quartetto Adorno e qual è stata l'ispirazione dietro la sua formazione? C’è un nuovo elemento nella vostra formazione: come è avvenuto l’incontro?
«Nasce nel 2015 e l’idea era di fare un quartetto ai massimi livelli. L’ispirazione è venuta proprio dal grande Theodor Wiesengrund Adorno, di cui abbiamo adottato il nome per la nostra formazione. Nella sua “Introduzione alla sociologia della musica” il filosofo, nel capitolo dedicato alla musica da camera, descrive il quartetto come una micro società ideale, in cui quattro persone abbracciano questa idea di comunione musicale e di vita. L’incontro con Francesco Stefanelli dal punto di vista quartettistico è recente, ma il primo incontro è avvenuto tantissimi anni fa. Suonammo in un sestetto a Cremona e lui era un giovanissimo violoncellista di grande talento come lo è tuttora.
Avete collaborato con molti artisti di fama. Quali ricorda di più? Come scegliete il vostro repertorio?
«Tra le tante quella con Alessandro Carbonare è speciale perché con lui c’è un’affinità incredibile. Abbiamo inciso il nostro primo disco di A. von Zemlinsky e il Quintetto con Clarinetto, di Brahms. Con Louis Lortie abbiamo fatto i due quintetti di Faure. La sua visione timbrica del pianoforte, di grande morbidezza nell’attacco, scopre un universo sonoro che coinvolge coloro che gli sono vicino. Il criterio principale nella scelta del repertorio è quello, per eccellenza, della scrittura beethoveniana per quartetto. Una specie di “bibbia” da cui non si può prescindere e che ci ha spinto all’esecuzione integrale dei suoi quartetti. Il rigore beethoveniano ha sposato il nostro rigore di sentimento che richiama quello adorniano, la sua stessa cifra stilistica e di pensiero. Le scelte musicali fatte con precisione non creano noia o monotonia, ma al contrario delle grandi differenze».
Come affrontate infatti l'interpretazione delle opere di Beethoven rispetto a quelle di Dvorak, così diverse?
«Dvorak, a differenza dei suoi coetanei e dei suoi successori del Novecento, è molto svincolato dall’eredità beethoveniana. La sua è una visione libera e più vicina ad una sensibilità e leggerezza mozartiana, in chiave romantica. Un altro modo con cui scegliamo il programma è proprio quella di accostare composizioni contrastanti e procedere per opposti».
Qual è l'importanza degli strumenti storici nelle vostre esibizioni?
«I nostri strumenti si sposano benissimo fra di loro e nello stesso tempo col temperamento di ciascuno di noi. Nel quartetto è fondamentale che ci sia questa fusione massima fra gli strumenti e, nello stesso tempo, una spiccata personalità di qualsiasi elemento: la personalità non deve andare a scapito dell’unità e neanche il contrario. E gli strumenti, quando trovi il tuo, sono a servizio dell’espressione della tua “voce”. Il mio violino, un Ansaldo Poggi del 1929, ha un timbro particolare: è sconfinato nella sua versatilità e tavolozza completa di colori che mi permette di essere totalmente libero nell’esprimermi».
Avete nuovi progetti discografici o collaborazioni future?
«Un futuro presente è dato dalla nostra ultima produzione, uscita a giugno: la registrazione integrale dei quartetti di Mario Castelnuovo-Tedesco, una prima assoluta nel mondo, per Naxos, etichetta che ha una incredibile diffusione. I quartetti di Castelnuovo, costretto ad emigrare negli anni Trenta dall’Italia agli Stati uniti, riflettono le atmosfere sonore del cinema di quegli anni che lui stesso ha contribuito a creare; uno stile e linguaggio affascinanti che possono ricordare un colossal come Ben Hur o un western come Ombre rosse».
Come percepite il riconoscimento e l'apprezzamento del vostro lavoro sia in Italia che all'estero?
«Sentiamo una grande accoglienza per la nostra interpretazione che è di un rigore, non asettico, ma più simile ad un ghiaccio bollente. Vi è un’intensità interna notevole che quando converge nell’unità di quattro elementi non può che generare entusiasmo. E quest’ultimo rappresenta per noi la più alta soddisfazione. Quando abbiamo suonato a Wigmore Hall di Londra, nella stanza verde vicino all’uscita del palco, c’erano le foto dei grandi quartetti con i loro autografi che avevano suonato lì: il quartetto Amadeus, il Lener degli anni Trenta. Quelle foto di 100 anni fa, in generale luoghi come quello con tanta storia, vibrano fortissimo e non c’è supporto migliore e più emozionante per iniziare un concerto».
Per gli altri appuntamenti della rassegna: www.allegrovivo.org.
Comunicato stampa
Allegro Vivo
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