Anpi Santarcangelo. A Savino Baroni, partigiano
Oggi è l’ultima domenica di marzo di questo anno che non dimenticheremo facilmente arrivata, per fortuna, dopo una settimana cupa e piovosa, accompagnata dal primo sole di primavera. La memoria di questa vicenda globale si scriverà nei libri di storia annoverandola come una delle maggiori esperienze delle donne e degli uomini del Duemila. Si racconterà della contraddizione di un pianeta che stava morendo e di esseri che stupidamente hanno continuano a non considerare che la natura ha le proprie regole e che queste non possono essere contraddette ma solo comprese e armonizzate con la vita degli esseri umani. Si racconterà di individui che presi dal loro delirio di onnipotenza non hanno utilizzato tutto quel bagaglio di esperienza umana, scientifica, filosofica, storica, artistica per capire che il nostro pianeta non è un corpo amorfo che si lascia sfruttare fino a farsi distruggere, ma allorché attaccato si libera di quei parassiti che prosciugano tutta la sua vena linfatica. E si scuote tanto più violentemente quanto più ampia sarà stata l’invasione del parassita. Triste pensare che quel parassita siamo noi; noi piccole bestie egoiste che abbiamo ricoperto tutta la superfice, invaso l’atmosfera, sgretolato la crosta terrestre, dato il via allo scioglimento dei ghiacciai in nome di un sempre maggior benessere dell’essere umano a discapito di tutte le altre specie presenti sul pianeta. Ancor più triste se si pensa che il frutto di questa attività non è stato condiviso tra tutti i componenti della nostra “comunità umana”, ma anche in questo caso lo sfruttamento ha preso il sopravvento, disprezzando, umiliando, schiavizzando e annientando i più fragili. Certo, i più fragili: prima i diseredati della terra, quelli che nemmeno vengono considerati esseri umani; poi quelli da rendere diseredati ovvero coloro da considerare colpevoli perché vivono sopra o in prossimità di una risorsa primaria, di un giacimento di petrolio o di gas o di una riserva d’acqua; poi venendo al mondo cosiddetto “occidentale” i bambini, gli anziani, i disabili, i malati, i depressi, gli indigenti e così via…i più fragili. Non era questo il mondo che avevano sognato le nostre nonne e i nostri nonni, le nostre madri e i nostri padri quando alle prese con una guerra globale decisa da un gruppo di persone avide e folli, le pallottole e le bombe attraversavano le terre, i cieli, i fiumi e i mari di questo pianeta. E con esse tante vite umane. No, non era questo il sogno di quelle donne e di quegli uomini che pensavano che sconfitto tutto ciò l’essere umano avrebbe detto per sempre “mai più”: mai più ingiustizie o povertà, distruzione, soprusi…morte…disperazione…solitudine…mai più. Tra questi c’era Savino Baroni, un uomo che la guerra l’aveva vista da dentro come soldato. Era scampato a quello scempio ribellandosi. Il suo operato di ribelle era stato riconosciuto molti anni dopo annoverandolo tra gli appartenenti alla “Brigata Mazzini”, una squadra di partigiani operanti in diverse zone d’Italia fra le quali San Leo, luogo dove era d’istanza Savino. Avevo conosciuto Savino e sua moglie nel 2013 in occasione del nostro consueto pranzo del tesseramento, appuntamento al quale negli anni successivi non mancarono più. Quella volta mi mostrò orgogliosissimo la sua tessera onoraria di partigiano repubblicano e questo gesto fu accompagnato da un racconto duro e scarno della sua esperienza bellica. Come spesso mi è capitato durante l’ascolto dei racconti di queste esperienza, la sensazione che veniva dal narratore era quella di volersi mettere alle spalle tutto il dolore proveniente da quella prova e di trattenere per sé e per gli altri solo il racconto di quanto la vita lo avesse reso fortunato rispetto ai compagni che non ce l’avevano fatta. Quest’anno il nostro appuntamento conviviale, inizialmente previsto per il 15 marzo, non si è potuto tenere. Tutti fermi a casa a combattere un nemico invisibile che si rivela a noi solo negli attesi bollettini sul conto dei contagiati, dei morti e dei sopravvissuti, così come quando si aspettava Radio Londra per capire se si poteva battere il nemico. E purtroppo anche il nostro Savino è rientrato in questa conta, lasciando questa terra martedì 23 marzo colpito dal nemico invisibile. In solitudine, come tante vittime di questo conflitto. A lui tutta la gratitudine della nostra comunità. A sua moglie e compagna di una vita, un gesto di dolcezza. A tutti noi il suo rimprovero: non era questo il mondo che Savino aveva sognato. Giusi Delvecchio - Presidente A.N.P.I. sez. Santarcangelo di R.