Ascoltando "la Divinità nella musica": un ricordo di Dizzy Gillespie a cent’anni dalla nascita

Ascoltando "la Divinità nella musica": un ricordo di Dizzy Gillespie a cent’anni dalla nascita.
Dizzy Gillespie è ricordato non solo come il geniale trombettista che ha aperto una nuova strada al jazz, ma anche per la sua dedizione di lunga data agli insegnamenti di Baha’u’llah. Una riflessione sulla vita e sulle realizzazioni di questa emblematica figura cent’anni dopo la sua nascita sarebbe incompleta senza prendere in esame la convinzione baha’i che sembra aver ispirato e guidato la sua opera — che tutti gli esseri umani fanno parte di un’unica famiglia.

«Dizzy è stato una novità fondamentale nella musica», afferma il pianista jazz Mike Longo parlando di Dizzy Gillespie, il suo defunto collaboratore e amico.

«La sua musica viene dal profondo», dice Longo, scrutando le pareti del suo appartamento in Riverside Drive nell’Upper West side di Manhattan. Alcune fotografie in cornice illustrano un decennale sodalizio musicale che comprende sia affollatissimi concerti in importanti sale sia sessioni private di lavoro professionale nella casa di Gillespie a Englewood sul lato opposto del fiume Hudson.

Ma il jazz non era il solo fattore che cementava l’antica amicizia di Gillespie e Longo. Entrambi gli uomini erano attratti dal messaggio di Baha’u’llah, con i suoi principi di unicità e unità — principi che li avrebbero portati ad abbracciare la Fede baha’i.

«La notte in cui sono entrato a far parte della band era la notte in cui Dizzy ha sentito parlare della Fede baha’i», dice Longo.

Quando ha incontrato la Fede baha’i, dopo un concerto a Milwaukee, Gillespie ha scoperto che essa aveva un’immediata risonanza con il suo pensiero — e con la sua musica.

«Il jazz si basa sugli stessi principi della Fede baha’i», dice Longo. «La commistione delle razze era molto arretrata quando il jazz ha avuto inizio. Dizzy diceva che il jazz è un matrimonio tra il ritmo africano e l’armonia europea e quindi, se lo si guarda da una prospettiva più ampia, esso è un connubio tra la razza nera e la razza bianca. E la musica di Dizzy in particolare, quando si dice che il Profeta sprigiona un nuovo potere nell’universo, il concetto del bebop di Dizzy... ne è un riflesso».

Il profondo impegno di Gillespie verso l’unità e la giustizia si è espresso nello spirito inclusivo che ha caratterizzato la sua musica e le sue interazioni con le persone di ogni ceto sociale.

Un pioniere del bebop

Nato a Cheraw, South Carolina, il 21 ottobre 1917, con il nome di John Birks Gillespie, negli anni 1940 Dizzy Gillespie fu all’avanguardia del fenomeno jazz bebop, spesso considerato la musica più radicale e vitale del suo tempo. Il bebop è caratterizzato da tempi pieni di energia e rapidi cambiamenti di tonalità, progressioni di accordi complessi e abbaglianti improvvisazioni su una melodia.

«Facevano cose molto difficili», spiega il critico di jazz e di arte britannico Martin Gayford. «La tecnica di Gillespie allarmò gli altri trombettisti, specialmente perché suonava note così acute».

«Mentre Charlie Parker eccelse nel fraseggio e nell’approccio ritmico, il contributo di Gillespie fu nel lato tecnico dell’armonia e nella bravura delle sue esibizioni».

«Le tipiche fotografie dell’era del bebop ritraggono Dizzy, con basco e pizzetto», dice Gayford.

Quel vivace personaggio e quel puro virtuosismo tecnico — con la peculiarità tipica di Gillespie, le guance rigonfie come quelle di una rana attorno al boccaglio della sua caratteristica tromba ricurva — fanno di lui un numero molto difficile da seguire per i trombettisti di oggi.

«Quando, a otto anni di età, ho sentito una registrazione della sua musica, sono rimasto stupefatto da quello che una tromba può fare», dice James Morrison, il celebre musicista australiano che ha guidato un concerto tributo all’anniversario che ha avuto luogo nella Royal Albert Hall di Londra il 4 agosto 2017, nell’ambito della famosa stagione concertistica BBC Proms.

«Ho sempre tratto ispirazione dal suo modo di suonare la tromba», dice Morrison. «Dizzy mi ha fortemente influenzato».

Morrison, che ha suonato con Gillespie in varie occasioni, ritiene che la sua personalità estroversa abbia contribuito a rendere la sua musica innovativa molto più accessibile.

«Egli esplorava nuovi confini, ma era così accessibile come persona. C’è lo stereotipo che un innovatore deve essere una persona tenebrosa, pensosa, fuori dal mondo. Ma Dizzy era loquace e stabiliva sempre un ottimo rapporto con il suo pubblico».

L’incontro con la Fede baha’i

Fu una spettatrice che presentò a Gillespie la Fede baha’i. Beth McKenty, una canadese che presenziò a uno dei suoi spettacoli a Milwaukee, si sentì ispirata a mettersi in contatto con lui dopo aver letto della tragica morte di Charlie Parker, il co-creatore del bebop. Parker era un sassofonista e a un certo punto aveva detto che Gillespie era «l’altra metà del suo cuore». Morì nel 1955 a 34 anni, dopo un lungo periodo di tossicodipendenza.

«Beth ha chiamato Dizzy e gli ha detto: “Charlie Parker non doveva morire in quel modo” e poi gli ha chiesto di parlare con lui», ricorda Longo. «E così quella notte, Beth e suo marito sono venuti e Dizzy si è seduto con loro a un tavolo e Beth gli ha parlato della Fede baha’i e gli ha dato un bel po’ di letteratura».

Dopo un periodo di intenso studio e lettura, Gillespie ha formalmente accettato la Fede baha’i il 5 aprile 1968, la notte dopo l’assassinio del leader dei diritti civili Martin Luther King Jr. Il musicista è stato attratto dall’importanza attribuita dagli insegnamenti di Baha’u’llah all’unità, specialmente dai principi dell’armonia tra la scienza e la religione, della parità fra le donne e gli uomini e dell’unità del genere umano.

«Lui ed io eravamo entrambi molto turbati dalla situazione razziale qui con tutti i disordini e tutto il resto», dice Longo. «Stavamo parlando e ho detto: “Le cose non saranno sempre così” e ricordo che abbiamo detto: “Ci deve essere qualcuno che rappresenti quello che noi sentiamo”. È stato allora che ha scoperto la Fede».

Gillespie ha scritto nella sua autobiografia, To Be or Not to Bop: «Quando ho incontrato la Fede baha’i, essa andava perfettamente d’accordo con quello che avevo sempre creduto. Credevo nell’unità del genere umano. Credevo che proveniamo tutti dalla stessa fonte, che nessuna razza è intrinsecamente superiore alle altre».

«Dizzy percepiva le vibrazioni», dice Longo.

Gillespie era da lungo tempo interessato allo studio dei ritmi e delle armonie delle varie culture e Longo ritiene la sua musica si sia ulteriormente evoluta dopo che egli abbracciò gli insegnamenti baha’i.

«Essa è divenuta più profonda», dice. «Se si segue la cronologia delle sue registrazioni, quando ha abbracciato la cosa afro-cubana, la musica è giunta a un livello molto più profondo... È salita al livello mondiale. E se pensate alla Fede, la musica di Dizzy era il riflesso dell’unione di tutte le persone e ha raggiunto il livello più vicino alla perfezione al quale un essere umano può arrivare».

Diventare baha’i ha influenzato la vita di Gillespie in ogni aspetto. Egli ha scritto che gli ha dato «un nuovo concetto del rapporto tra Dio e l’uomo — tra uomo e uomo – tra l’uomo e la sua famiglia».

«Sono diventato più consapevole spiritualmente e quando si è spiritualmente consapevoli, questo si riflette in ciò che fai», ha scritto Gillespie.

E i musicisti jazz, secondo Gillespie, erano tra «le persone maggiormente “in sintonia con l’universo».

«Che cosa è più appropriato del fatto che un musicista sia in sintonia con la natura e con il nostro Creatore?», ha scritto. «Il miglior esempio è il modo in cui essi suonano; come trovano quelle cose che non sono mai state suonate prima? Dove le hanno trovate? Devono avere una sorta di ispirazione divina».

Longo concorda. «Questa musica non viene dal pensiero. Non puoi pensare e suonare nello stesso tempo. Essa viene da dietro la mente, dove c’è una sorta di luogo di beatitudine che è totalmente spirituale. Questa è la forza animatrice della nostra musica. In realtà di tutte le arti e anche delle scienze. Il potere che Baha’u’llah sprigiona è la forza animatrice delle arti».

«Dizzy ha detto: “Quello che senti è la divinità nella musica"».

L’Orchestra delle Nazione Unite

«Gillespie ha viaggiato per molto tempo», riflette Martin Gayford, «dagli anni 1940 fino al 1990. Così è diventato una sorta di anziano statista del jazz e un grande incoraggiatore di giovani talenti».

La più ambiziosa e ultima fusione della sua musica con le sue convinzioni religiose è la formazione della sua Orchestra delle Nazioni Unite, con cui ha girato il mondo negli anni 1980. Il principio baha’i di costruire un’unità che mantenga e celebri la diversità culturale ha ispirato Gillespie a creare una band composta da giovani musicisti provenienti dagli Stati Uniti e da eccezionali suonatori e cantanti del Brasile, di Cuba e di Panama.

«Questo è ciò in cui credeva», dice Longo, «e perciò questo era il principio fondante dell’Orchestra delle Nazioni Unite».

«Nella religione baha’i non crediamo di dover lasciare andare nulla di ciò che è buono», Gillespie ha scritto. «Rinunciare al vostro retaggio? I baha’i credono che dovete portarlo con voi e lavorarci con gli altri. Portatelo nel gruppo come il dipinto di un maestro. Se io sono viola e c’è un altro gatto che è arancione, ciò non significa che non possiamo entrare in una grande disposizione complementare compatibile. Portate la vostra unicità, ma non entrate nel loro solco. Statene fuori!».

Un lascito duraturo

Dopo la sua morte nel 1993 a 75 anni, Dizzy Gillespie continua a essere venerato da appassionati in tutto il mondo. La sua musica è diventata oggetto di studio accademico e di simposi; le sue registrazioni sono costantemente rimasterizzate, ristampate e riscoperte dalle nuove generazioni. Nei prossimi mesi, concerti tributo per i cent’anni dalla sua nascita avranno luogo in tutto il mondo.

«Quando rendete omaggio a qualcuno, sorge questa domanda, li imitate?», dice James Morrison. «Io credo, mi sembra sensato, di no. In ciò che accade si possono riconoscere vari “Dizzismi”, ma un vero omaggio sta nel creare l’atmosfera. È come quando Dizzy dava una festa e la portava sul palcoscenico. Ho sempre pensato che è quello che volevo fare anch’io».

Mike Longo crede che la musica di Gillespie non sia ancora pienamente compresa. Parlando al funerale del trombettista nel 1993, Longo ha detto ai presenti: «Un sacco di gente sa quello che Dizzy suonava, ma non come lo suonava».

«In questo momento la maggior parte degli insegnanti e così via lo stanno imitando», dice. «Non capiscono il concetto, capiscono le note. Così imitano le note e tentano di imitare il sentimento, ma non hanno ancora colto l’essenza. Così egli non è ancora completamente capito».

«Forse dovranno passare altri cent’anni prima che ciò accada», dice Longo ridendo.

Per ascoltare il podcast, vedere le foto e leggere l’articolo in inglese online si vada a: http://news.bahai.org/story/1204.

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