Il cinema ritrovato: Gli amori di una bionda
La commedia triste di Miloš Forman, sua prima affermazione internazionale, inaugura ufficialmente la nová vlna, la nouvelle vague praghese. Le disillusioni amorose d'una giovane operaia, in fuga dal torpore della provincia, si stagliano nel ritratto d'una generazione nuova e indecisa a tutto, ma risolutamente (e comicamente) fuori dal linguaggio e dalle retoriche ufficiali della ‘programmazione socialista'. Circola un'aria da dolci inganni che rischia di spegnersi nel grigiore d'un contesto desolante, ma Forman ha già chiaro che è necessario non deflettere dall'ironia: "Una piccola nazione come la Cecoslovacchia, minacciata per tutto il corso della sua storia da potenti vicini, non ha altri mezzi di sopravvivenza che mantenere il sense of humour".
Miloš Forman giunse con questo lungometraggio a firmare la sua terza opera, insieme al proprio gruppo artistico ormai collaudato, in cui lo affiancarono i futuri cineasti Ivan Passer e Jaroslav Papoušek, il direttore della fotografia Miroslav Ond?í?ek e, soprattutto, i supervisori alla produzione Jirí Šebor e Vladimír Bor, capaci di prendere le difese dei progetti anomali del giovane cineasta dinanzi alla burocrazia di regime. Per molti versi, Gli amori di una bionda riassume procedimenti, personaggi e situazioni collaudati nei due lungometraggi precedenti, Konkurs (Il concorso, 1963) e ?erný Petr (L'asso di picche, 1964), portandoli a un considerevole grado di perfezionamento sul piano narrativo e della messinscena. Per altri aspetti, la cristallizzazione delle precedenti caratteristiche stilistiche preannuncia il passaggio alle forme narrative più strutturate di Ho?í, má panenko! (Al fuoco, pompieri!, 1967) e portò taluni a parlare di manierismo nella regia di Forman.