Ci spiace che invece di replicare nelle sedi a ciò deputate o in sede di trasmissione televisiva a ciò dedicata, le donne di UDS/del Comitato Promotore del referendum in materia di interruzione volontaria di gravidanza scelgano di farlo successivamente, a distanza e senza la presenza dell’interlocutore. Evidentemente a loro piace “giocare facile”. Pazienza, ci abitueremo anche a questo. Ma di sicuro, rispediamo al mittente l’accusa rivolta ai membri del Comitato Contrario di essere dei “bugiardi”, in quanto tutte le nostre affermazioni sono supportate dalla scienza, da testi, da dottrina, da giurisprudenza. Alcuni temi affrontati da UDS sono già stati oggetto della nostra attenzione nel comunicato n. 10 del 7 agosto. E dunque non stiamo a ribadire quanto lì scritto. Affrontiamo dunque le altre questioni. Il Comitato Uno di Noi ha sempre detto e scritto che occorre lavorare sulla prevenzione delle gravidanze indesiderate. Ha precisato che la struttura presente al Centro Atlante è dedicata anche alle minorenni, che vi accedono regolarmente per tutte le questioni inerenti l’educazione sessuale e riproduttiva, e che a San Marino l’educazione sessuale nelle scuole si insegna. Ma ovviamente di questo UDS e il Comitato Promotore preferiscono non parlare, volendo trasmettere l’idea di San Marino come paese arretrato e “medioevale”. Quanto al collegamento fra atto sessuale e atto riproduttivo, ci sembrava di aver chiarito ciò che intendiamo dire: da millenni ed ancora oggi, fatte salve le tecniche di inseminazione artificiale, esiste un solo modo per restare incinte. E dunque è inevitabile che questa consapevolezza debba essere accompagnata da comportamenti conseguenti. Quanto alla pillola del giorno dopo, esse viene venduta nelle nostre farmacie. E dunque anche questo a San Marino non è un problema, per le donne di qualsiasi età. Ma ovviamente, siamo convinti che la prevenzione sia molto meglio per la salute delle donne. Sulle pillole post-coitali servirebbe un trattato di farmacologia, la pubblicazione di diversi studi scientifici ufficiali ed il confronto con quanto riportato anche dalla Food and Drug Administration (FDA). Usiamo l’autorevole commento del Prof. Noia (Professore alla Scuola di Specialità di Ginecologia Università Cattolica Roma), che afferma: “... Secondo uno studio pubblicato su Lancet l’uso del levonorgestrel (pillola giorno dopo), quando avviene allontanandosi dalla fase ovulatoria, è più probabile che incrementi il rischio abortivo legato al fallimento di impianto endometriale, questo anche FDA lo riporta. Sulla pillola dei 5 giorni dopo occorre dire che non si tratta più di intercezione ma di contragestazione in quanto la sua chimica deriva dalla RU-486”. Sull’Ulipristal Acetato poi a livello globale, in spregio della salute della donna, sta avvenendo l’assurdo: Aifa il 23 marzo 2020 ha vietato la vendita di Ulipristal Acetato 5 mg (nome commerciale Esmya, usata per la cura dei fibromi uterini) dopo la nota di EMA sui rischi correlati ai gravi effetti che il farmaco provoca a livello epatico ed in scheda tecnica il prodotto riporta l’indicazione all’uso esclusivo su donne di almeno 18 anni di età. Ebbene, Ella-one, la pillola dei 5 giorni dopo, contiene Ulipristal Acetato 30 mg (e dunque un dosaggio di ben 6 volte superiore) e l’8 ottobre 2020 Aifa ne ha decretato la libera vendita alle minori di età, nonostante i gravi rischi per la salute delle donne, anche più giovani. Se questo è il femminismo, noi preferiamo trovare altri modi per aiutare le donne a compiere le scelte migliori anche in termini di salute, fisica e psichica. Non lasciando solo a loro tutti i guai, la solitudine ed un problema in più dopo l’interruzione volontaria della gravidanza, che in molti casi porteranno con sé per il resto della vita. Per noi l’interruzione volontaria della gravidanza è una non-soluzione ad un problema. Sulla rianimazione neonatale sui feti abortiti invitiamo gli appassionati della “letteratura ufficiale del web” a fare una ricerca sulla storia di Janna Jessen, che ha subito un tentativo di aborto al settimo mese in utero, fortunatamente fallito, ed è stata salvata dal buon cuore di una ostetrica in quanto il ginecologo che aveva attuato la procedura stava per sopprimerla. Oppure invitiamo a documentarsi su quanto è avvenuto negli anni ’80 del secolo scorso, con tanto di cronaca giudiziaria, alla clinica Mangiagalli di Milano (cfr. storia di Leandro Aletti dirigente medico ginecologo alla clinica Mangiagalli). Inoltre se, ad esempio, in Italia la pratica della rianimazione neonatale sui feti abortiti fosse sempre stata attuata secondo le disposizioni dalla legge italiana n. 194/1978, evidentemente non sarebbe stato necessario il documento redatto da 5 Università di Roma (cfr. La Carta di Roma, 8 febbraio 2008), necessario a contrastare alcuni punti presenti nel documento promulgato nel 2008 dal Ministero della Salute che anziché valutare la capacità vitale del feto espulso forniva indicazioni solo sulle settimane di gestazione entro le quali si poteva o meno intervenire con le pratiche di rianimazione. Quanto al rischio di turismo abortivo a seguito dell’eventuale approvazione del quesito referendario, ciò ovviamente dipenderà dal testo normativo che verrà approvato. E dunque occorre confidare nella saggezza del legislatore. Ciò che abbiamo affermato e che continueremo ad affermare è che se la legislazione di un paese in materia di interruzione volontaria della gravidanza ha maglie più larghe di quella altri paesi, accade normalmente - a livello mondiale - che le donne vadano ad abortire in quel paese, a maggior ragione se molto vicino, nei casi non rientranti nella legislazione del loro paese. La legislazione italiana ha dei paletti che non sono presenti, ad esempio, nel progetto di legge in materia esaminato dal Consiglio Grande e Generale in prima lettura lo scorso mese e rispetto al quale le controparti hanno manifestato pubblicamente con un comunicato la loro convinta adesione sul piano dei contenuti. In tale progetto di legge non esiste la disposizione che prevede che, in caso di possibilità di vita autonoma del feto (oggi tra le 22 e 23 settimane), l’interruzione volontaria della gravidanza non sia consentita se non in caso di grave pericolo per la vita della donna; né che il medico debba adottare ogni misura atta a salvaguardare la vita del feto. In Italia inoltre, le minorenni devono avere il consenso dei genitori o di un tutore per abortire. O interviene il giudice tutelare. A San Marino, le minorenni dai 16 anni in su potranno abortire senza il consenso dei genitori, che tuttavia, bontà dei proponenti e di UDS, dovranno essere informati. In alcuni casi, potranno abortire autonomamente senza il consenso di nessuno a qualsiasi età. Quindi se saranno assenti da scuola ci vorrà la giustificazione dei genitori, per abortire potranno invece fare tutto da sole. Se questo resterà nel testo finale che sarà approvato dal Consiglio Grande e Generale, niente di più facile che donne residenti in Italia scelgano di venire ad abortire a San Marino, dove l’interruzione volontaria della gravidanza potrebbe essere consentita fino al nono mese, senza nemmeno il paletto di fermarsi davanti al bimbo “vitale” (e quindi in assenza dell’obbligo di fare di tutto affinché il bimbo sopravviva) e dove le minorenni, in particolare dai sedici anni in su, potranno abortire senza necessità della manifestazione del consenso da parte dei genitori o del tutore o del giudice. Non solo: viene introdotta una nuova formulazione dell’art. 154 del codice penale “Reato di violenza ostetrica” che grida vendetta; a riprova della circostanza che sono assolutamente solo chiacchiere le dichiarate intenzioni di voler offrire alla donna alternative all’interruzione volontaria della gravidanza. E a proposito di bugie, quando ci raccontano che il pericolo grave per la salute fisica e psichica della donna devono essere entrambe presenti per accedere all’IVG, ciò è facilmente smentito dalla formulazione dell’art. 8, comma 1 lettera a) del medesimo progetto di legge che le prevede in forma disgiunta. Infine, quanto all’interruzione volontaria della gravidanza in caso di pericolo di vita della mamma, UDS ha scritto che non sarebbe vero che a San Marino in caso di pericolo di vita della donna l’aborto sia già consentito, dando una interpretazione sui generis dell’articolo che disciplina lo stato di necessità. Ma ovviamente UDS non è stata in grado di presentare neppure un caso in cui negli ultimi decenni una donna residente in Repubblica sia morta perché si è preferito far nascere il bambino e lasciarla morire. Nè di donne e di personale sanitario assoggettati ad un procedimento penale per aver proceduto in tal senso. UDS non è stata in grado di presentare tali casi in quanto non esistono. L’art. 42 del codice penale (stato di necessità), articolo applicabile a tutti gli articoli del codice e dunque anche all’aborto, sancisce la non punibilità del reato se ricorre la necessità di salvare sé od altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona. Ovviamente dunque in caso di pericolo di vita della mamma, ove una relazione medica attesti il pericolo di vita della madre il giudice autorizza l’aborto. E dunque non vi sono processi penali successivi. Perché ve lo immaginate lo stesso tribunale che prima autorizza l’interruzione volontaria di gravidanza per il pericolo di vita della madre e poi inizia il processo nei confronti della madre e degli operatori sanitari? Basta usare un minimo di buon senso, non serve una laurea in giurisprudenza, per giungere a questa conclusione. In ogni caso, se ciò può rallegrare UDS e Comitato Promotore, stiano sereni: è l’unica parte del quesito referendario su cui concordiamo, anche se inutile perché è già così dal 1975. E’ il resto del quesito referendario su cui siamo fermamente contrari.
c.s. Comitato "Uno di Noi"