Covid-19, Confagricoltura Emilia Romagna: "L’agricoltura non può prendersi una pausa"
Difficile mantenere la distanza di sicurezza tra le persone pure nelle potature o all’interno di serre e vivai
«L’agricoltura non può prendersi una pausa di uno o due mesi per poi ripartire più forte. Ci sono lavori che richiedono immediatezza e risposte che le imprese non possono attendere». A lanciare il monito è Marcello Bonvicini, presidente di Confagricoltura Emilia Romagna che elenca nel dettaglio i punti critici delle aziende agricole: «Manca la manodopera a due settimane dall’avvio dei primi interventi manuali nei frutteti, a partire dal diradamento dell’albicocco in Romagna e, a seguire, tutte le altre operazioni colturali. Per dare inizio all’attività agricola – continua l’imprenditore - abbiamo bisogno di migliaia di lavoratori stagionali, in gran parte provenienti dai paesi dell’Est Europeo, che però adesso potrebbero dirigersi altrove a causa del Covid-19. Quindi occorre reperire soprattutto maestranze locali». Parole per altro difficili da pronunciare nel pieno dell’emergenza sanitaria in atto, che tuttavia riflettono i timori di un comparto soggetto soltanto al calendario agricolo. «Diversi i quesiti che sono di difficile soluzione. A esempio, i macchinari per trapiantare le piantine di pomodoro da industria non consentono di rispettare la regola del droplet, la distanza di almeno un metro tra le persone. Dunque – si chiede il presidente regionale - come procedere al fine di tutelare le numerose imprese attive da Piacenza a Ferrara fino a Bologna? Ma mantenere tale spazio di sicurezza risulta arduo pure nelle potature oppure all’interno di serre e vivai. Infine, affinché sia garantito l’iter di lavorazione lungo la filiera lattiero-casearia, stiamo pensando a convenzioni tra caseifici che possano sopperire a eventuali imprevisti o a chiusure delle strutture di conferimento, dovute alla presenza di dipendenti contagiati». La richiesta del mondo agricolo è corale, «servono soluzioni operative in tempi rapidi». Intanto, a Bologna, le aziende che svolgono vendita diretta nei mercati contadini chiedono con la forza della disperazione di ripensare le decisioni, seppur comprensibili, prese dal Comune. Ieri sera il Sindaco Virginio Merola ha emesso un’ordinanza – in vigore a partire da oggi -, che impone la chiusura dei farmer’s market fino al 3 aprile. “È vietato svolgere attività di commercio su area pubblica – si legge nel testo - nei mercati previsti dal Piano delle Aree approvato dal Consiglio comunale nel 2016, compresi i mercati agricoli e quelli sperimentali: non è infatti possibile in questi casi garantire le necessarie condizioni di sicurezza per la salvaguardia della salute pubblica. Sono esclusi dal provvedimento, quindi si possono svolgere nel rispetto del Dpcm 8 marzo 2020, i mercati rionali e il mercato cittadino diffuso A”. Una posizione che va nella direzione opposta a quella intrapresa dalle altre amministrazioni comunali dell’Emilia-Romagna dove, al momento, resta comunque confermata l’apertura. «Il mercato contadino - osserva il presidente di Confagricoltura Emilia Romagna – consente un approvvigionamento “outdoor”, all’aria aperta, di generi alimentari freschi, salubri e di qualità. Proprio ciò di cui ha bisogno la comunità in un momento così drammatico. Ci sono, inoltre, dei farmer’s market che possono garantire il controllo degli accessi visto che per tale motivo, nell’ordinanza, sono stati invece autorizzati i mercati rionali e il mercato cittadino diffuso A».
c.s. Confagricoltura Emilia Romagna