A San Marino, come in Italia, «Sono sospese le cerimonie civili e religiose, ivi comprese quelle funebri…». Credo che anche la Messa sia considerata tra queste «cerimonie», con un linguaggio «burocratichese» che potrebbe essere certo usato con più accortezza. Dove sta il problema? Sono tra coloro che hanno da subito riconosciuto la gravità della situazione, certo contro allarmismi e superficiale ottimismo, visto quello che accadeva in Cina e che mezzi seri di informazione ci raccontavano (come raccontano la terribile persecuzione anticristiana e antireligiosa che si attua in quel paese). Non entro in merito alle misure precauzionali adottate, non ne ho la competenza e non è lo scopo di questo mio scritto. Ci sono questi ordini di problemi, a mio avviso:
• Quanto sta accadendo chiede, per la gravità ed eccezionalità del fenomeno, che ci si interroghi su di noi, sulla nostra vita, sul senso del vivere e sui valori che ci sostengono nel quotidiano. Quando la vita sembra così attaccata a un filo (basti pensare a Pascal quando sosteneva che persino una goccia d’acqua poteva mettere la vita stessa in pericolo) bisogna che sia chiaro quello che vale. Forse la difesa della vita sempre, dal concepimento alla fine naturale e il servizio alla sua esistenza sono valori più decisivi che una irresponsabile sottolineatura di quei diritti che comportano la morte dei più deboli. A questo proposito, forse, la riscoperta del bene dell’amore coniugale e la cura dei piccoli nel grembo materno potranno ridiventare la caratteristica del nostro piccolo grande Paese.
• A San Marino, come anche in Italia, non si potranno celebrare le s. Messe, e questo riguarda in particolare la domenica. Penso che dovremo tutti, credenti in particolare e anche «uomini di buona volontà», riflettere sul significato che ha la dimensione religiosa per la nostra vita, e la sua manifestazione pubblica. Solo lasciando spazio nella realtà sociale ai cosiddetti «diritti di Dio», contro ogni censura laicista che vorrebbe relegare il religioso allo spazio privato della coscienza, ritroveremo la vera identità del nostro popolo di San Marino, appartenente per la sua storia a un santo che ci ha insegnato ad amare la nostra libertà. Che il «liberi ab utroque» non significhi lasciare la dimensione religiosa per affidarci completamente allo Stato. Sarebbe la forma più deteriore di una moderna schiavitù.
• Alla Chiesa cattolica è affidato un compito gravissimo, la responsabilità educativa di un popolo che può e deve riscoprire come nelle situazioni di calamità i santi si sono comportati. Sia la riscoperta del sacrificio eucaristico (quella Messa che è certo più che una «cerimonia» e certo più di un banchetto sacro) che la capacità di carità e condivisione. In questo tempo in cui sembra che la parola d’ordine sia «Chiesa in uscita» e l’«odore delle pecore» non possiamo rinchiuderci tra le nostre mura sicure, ma realizzare spazi di condivisione, coniugando carità eroica e giusta prudenza.
• Forse questo può valere per tutti, soprattutto in questo tempo in cui anche le scuole sono chiuse e si sente l’urgenza di comunicare qualcosa di vero e di solido ai giovani, che non pensino solo a una improvvisa vacanza: credo sia necessario un cammino educativo che non si fermi davanti alle difficoltà, e sappia ritrovare canali educativi che non possono più essere quelli solamente istituzionali. È in atto una sfida che non si potrà fermare alla sola guarigione o allo scampato pericolo. Bisogna imparare dai fatti che accadono (come sempre le parabole di Gesù ci hanno insegnato) e così ritrovare nella vita quotidiana quella capacità di crescere e maturare che i nostri vecchi ci hanno testimoniato. Ah, e ricordiamo che proprio i nostri vecchi sono una risorsa da custodire e curare, non un peso di cui sbarazzarci, come certe recenti prese di posizione (in Italia) ci hanno fatto credere.
Penso che ci potrà aiutare la lettura di questo testo di Tolstoj: «Era come se mi fosse successo questo: un giorno, non so quando, mi avevano messo in una barca e poi mi avevano allontanato da una riva qualsiasi a me sconosciuta e mi avevano indicato la direzione verso un’altra riva, avevano messo i remi nelle mie mani inesperte e mi avevano lasciato solo. Remavo come potevo e navigavo; ma, quanto più andavo verso il centro del fiume, tanto più rapida si faceva la corrente che mi portava lontano dalla meta e sempre più spesso incontravo dei rematori che, come me, erano trasportati dalla corrente. Vi erano rematori solitari che continuavano a remare; vi erano rematori che avevano gettato via i remi; vi erano grandi barche, bastimenti enormi pieni di gente; alcuni lottavano con la corrente, altri vi si abbandonavano. E quanto più avanzavo, tanto più, guardando in giù, in direzione di tutta la fiumana dei naviganti, io dimenticavo la direzione che mi era stata indicata. Proprio in mezzo alla fiumana, nel fitto delle barche e dei bastimenti che scendevano lungo la corrente, finii col perdere del tutto la direzione e gettai i remi. Da tutte le parti, con allegria e con giubilo intorno a me, con le vele o con i remi i navigatori venivano giù veloci seguendo la corrente, assicurando a me, e assicurandosi fra loro, a vicenda, che non vi poteva essere un’altra direzione. Ed io credetti loro e navigai per un po’ insieme con loro. E fui portato lontano, così lontano che sentii il rumore delle cateratte contro le quali dovevo andare a infrangermi e vidi le barche che vi si infrangevano. Ed io tornai in me. A lungo non riuscii a capire che cosa mi era successo. Vedevo davanti a me soltanto la perdizione, verso la quale correvo e di cui avevo paura, da nessuna parte vedevo scampo e non sapevo che fare. Ma avendo gettato uno sguardo indietro, vidi innumerevoli barche che senza interruzione, ostinatamente, fendevano la corrente, mi ricordai della riva, dei remi e della direzione, e cominciai a remare indietro per risalire la corrente verso la riva.» (Tolstoj, Confessione)
Don Gabriele Mangiarotti