L’aumento delle bollette è un problema che sta colpendo molti Paesi, in particolare quelli importatori di materie prime e di energia, come l’Italia e San Marino. La situazione non è – come qualcuno vuol far credere – dettata da un improbabile sadismo del governo, ma dal rialzo dei costi, al netto di eventuali errori amministrativi nella gestione degli acquisti, che vanno senz’altro accertati. Stando così le cose, le alternative agli aumenti sono o il razionamento delle risorse energetiche (cioè se ne compra una quantità inferiore mantenendo invariata la spesa) o l’intervento dello Stato per mettere la differenza, prelevando però i soldi dagli stessi soggetti che pagano le bollette, cioè i cittadini e le imprese. Le cause, a livello generale, sono varie e complesse. Dal punto di vista strettamente finanziario, la crescita è dovuto da un aumento della domanda superiore a quello dell’offerta di energia. Da analizzare politicamente i seguenti fattori:
1) Aumento della domanda a causa della ripresa post-lockdown, crescita localizzata in particolare in Cina;
2) Rincari delle imposte sull’emissione di CO2;
3) La reticenza russa ad aumentare le quote di esportazione verso i Paesi europei. La scelta, di per sé antieconomica, ha per obiettivo tattico la pressione sugli europei per l’apertura definitiva del gasdotto Nord Stream 2, che – dal Baltico – collega Russia e Germania, marginalizzando così i gasdotti ucraini, importante introito e fattore di rilevanza per il governo di Kiev;
Più in generale, da alcuni anni appare gravemente compromessa la stabilità dei principali scenari di prossimità da cui dipende la sicurezza energetica italiana, e di riflesso quella sammarinese: Mediteranno orientale e nord-Africa (circa il 20% delle importazioni italiane di gas italiane) con la Libia – dove non esiste più uno stato vero e proprio e infuria la guerra civile – da cui proviene il 5% del gas importato e la Russia, attualmente in forte contrasto con i Paesi NATO, in particolare sul fronte ucraino. Stando così le cose, appare ineludibile per San Marino predisporre una politica energetica di medio-lungo termine, col fine di garantire la nostra sicurezza energetica e di farlo a prezzi economicamente e politicamente sostenibili mediante uno sganciamento – almeno parziale, ma significativo – dai rifornimenti e dagli accordi con la parte italiana. Sul breve periodo, invece, appare realisticamente complesso immaginare interventi diversi da tutele speciali per le fasce più povere della popolazione. Noi non abbiamo la potenza per incidere sugli scenari di instabilità nei teatri operativi sopra descritti, e neppure possediamo risorse naturali. Date per assodate tali ipotesi, è necessario interrogarsi sul che fare. I poderosi investimenti americani ed europei in energia da fonti rinnovabili, a mio avviso, dovrebbero segnare la strada maestra anche per San Marino. In questo ambito, la Repubblica ha un vantaggio e uno svantaggio strutturali molto rilevanti: da una parte il nostro fabbisogno energetico è, in termini assoluti, lillipuziano, ma – mutatis mutandis – lo è proporzionalmente anche il nostro Territorio, privo di risorse naturali, e ciò esclude grandi strutture come le centrali nucleari. La via, a mio parere, è quella di acquisto di infrastrutture energetiche “pulite” fuori dalla Repubblica (parchi eolici, fotovoltaici o altro) che possano garantire il nostro fabbisogno elettrico a basso prezzo, e possibilmente un surplus da rivendere ad altri Stati, così da rientrare rapidamente degli investimenti. Le infrastrutture andranno localizzate in Stati amici che non abbiano potenzialmente interessi contrapposti ai nostri (escluderei dunque l’Italia), politicamente stabili e dove sia in vigore uno stato di diritto tutelante degli investimenti stranieri. Inoltre, è anche necessario che i Paesi attraverso cui dovrà poi transitare l’energia abbiano caratteristiche simili, almeno sotto il profilo della stabilità politica. I vantaggi sarebbero importanti: politici, cioè una minore dipendenza dal vicino italiano e il miglioramento dell’immagine di San Marino come primo Stato alimentato a energia da fonti rinnovabili, ed economici, che si concretizzerebbero in guadagni per l’Azienda di Stato e bollette più basse per famiglie e imprese, rendendo San Marino strutturalmente più attraente per gli investimenti produttivi non solo sotto il profilo fiscale, ma anche energetico.
c.s. Giovanni M. Zonzini, Consigliere indipendente in RETE