Gli avvocati intervengono sul caso Chironi
Ha destato clamore, anche fra gli iscritti, la eco mediatica che ha investito la vicenda giudiziaria nota come “processo Chironi” e che non sembra trovare conclusione. L’Ordine ha sempre ritenuto che il silenzio sia il miglior servizio che possa rendersi alla giustizia, tanto più in ambito penale. Il richiamo diretto ed indiretto agli “operatori del settore giudiziario” e la circostanza che lo stesso Dirigente del Tribunale abbia ritenuto di rilasciare un comunicato stampa, rendono necessario e doveroso formulare alcune precisazioni, nella speranza che ciò concorra a rasserenare gli animi, essendo sotto gli occhi di tutti che il “settore giustizia” non necessita certamente di ulteriori motivi di scontro e tensione; tanto più che l’intera vicenda, seppur originata e alimentata da un fraintendimento sostanziale, che ancorché, riteniamo del tutto inusuale, non per questo risulta meno grave.
Nostro malgrado ci vediamo costretti pertanto a svolgere alcune precisazioni. La prima precisazione: nessuno contesta, come mai è stato contestato, l’istituto della confisca, né il fatto che questo rivesta un ruolo fondamentale all’interno dei presidi posti a difesa della collettività. Tale pacifica accettazione rende superflua ogni difesa (che al contrario finirebbe per indebolire l’istituto veicolando un erroneo messaggio di una mancata condivisione). La seconda e più importante precisazione: il problema (che contrariamente a quanto si vorrebbe fare credere è sia giuridico che morale) non è riaffermare l’importanza del ruolo della confisca me decidere la sorte dei danari confiscati, atteso che tali danari provengono da misfatti spesso odiosi. In altri termini si tratta, come cittadini ancor prima che come giuristi ed avvocati, di decidere se i denari confiscati non vadano restituiti a coloro i quali, in questo caso ultimi fra gli ultimi, risultano essere le vere vittime del reato che ha originato il danaro. Semplificando, ed a voler essere oltremodo chiari, dobbiamo chiederci se, come acutamente avanzato da taluni, il danaro effettivamente non ha “odore” e se avendo in questo specifico caso l’odore del dolore di chi ha subito il misfatto, debba essere agli stessi restituito. E se, per qualsiasi ragione, la necessità ci spingesse a far nostri tali denari, anche quando evidente è l’identità delle vittime, che almeno su questa vicenda cali un doveroso silenzio, perché fra tutte le ragioni che giustificano tale decisione non ve ne è una per la quale vantarsi in pubblico.