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Lettera aperta di Don Mangiarotti a Marica Montemaggi

19 ago 2019
Don Gabriele Mangiarotti
Don Gabriele Mangiarotti

Ho scritto, tramite Facebook, a Marica Montemaggi questa lettera, a proposito del suo intervento in replica a quanto da me affermato. Mi spiace di non avere avuto, a tutt’oggi, alcuna risposta. Penso che lo strumento usato (la messaggistica di Facebook) non sia adeguato. Visto che la sua risposta al mio intervento pubblico è stata così tempestiva, rendo noto a tutti quanto le ho scritto, sperando di raggiungerla (ed anche di poter realizzare quel confronto così necessario tra persone che hanno a cuore il bene comune come regola del vivere civile e dell’impegno politico). Ritengo che il potere confrontarsi sui temi della vita e del suo rispetto sia quanto di più giusto in una società che voglia costruirsi a misura d’uomo. E ritengo altresì ingiusta ogni forma di censura nei confronti di chi ha opinioni diverse e le comunica con rispetto. Mi viene in mente la bella favola di Andersen I vestiti nuovi dell’imperatore, dove è il grido ingenuo del bambino «Il re è nudo», che consente a tutti di riconoscere la realtà, e di rifiutare la menzogna del politically correct. E ringrazio la TV di San Marino che ha dato voce al dialogo, senza rinchiudersi in sterili censure.

Gentile Marica Montemaggi,
ho letto le sue parole di risposta a quanto ho scritto e detto in televisione a proposito della proposta di legge sull’aborto, e sono lieto del fatto che non abbia tenuto conto delle parole di Vanessa Muratori «Se al clero fosse data meno visibilità e avesse meno influenza si potrebbe anche non rispondergli, il problema è il contesto in cui sono abituati a spadroneggiare, e allora fa piacere che la politica, qui incarnata in una giovane donna, gli risponda senza il solito sussiego». Personalmente ho sempre cercato di ascoltare e confrontarmi con chi desidera comunicare, senza schemi né chiusure ideologiche. Del resto ritengo che ogni forma di censura, soprattutto nel mondo della comunicazione pubblica, sia ingiusta e prevaricante; qualcuno la potrebbe chiamare anche fascista. Sarà pur vero che di aborto si parla da tanto tempo, e che si possano avere sulla questione opinioni diverse. Come pure che si tratta di una questione anche drammatica per le persone che la affrontano. Ritengo però che non sia la strada migliore quella di considerare l'aborto dal punto di vista della sola donna e nel contesto dei suoi «diritti». E neppure che se ne possa ragionare escludendo dal tavolo chi ha concezioni religiose, pur valendo la grande affermazione del laico Norberto Bobbio, come risulta da quanto scrive Claudio Magris: “In essa, [l’intervista rilasciata a Claudio Nascimbeni sul Corriere della Sera] con pacatezza e anzi con disagio («è un problema molto difficile, è il classico problema nel quale ci si trova di fronte a un conflitto di diritti e di doveri») ribadiva «il diritto fondamentale del concepito, quel diritto di nascita sul quale, secondo me, non si può transigere. E’ lo stesso diritto in nome del quale sono contrario alla pena di morte. Si può parlare di depenalizzazione dell’aborto, ma non si può essere moralmente indifferenti di fronte all’aborto». [Bobbio] si soffermava sulla «scelta sempre dolorosa fra diritti incompatibili», ribadendo che «il primo, quello del concepito, è fondamentale», in quanto «con l’aborto si dispone di una vita altrui». Affermava la necessità di evitare il concepimento non voluto e non gradito; e concludeva, rispondendo a Nascimbeni: «Vorrei chiedere quale sorpresa ci può essere nel fatto che un laico consideri come valido in senso assoluto, come un imperativo categorico, il “non uccidere”. E mi stupisco a mia volta che i laici lascino ai credenti il privilegio e l’onore di affermare che non si deve uccidere».” Non è per uno strano accanimento ideologico, quasi una sorta di volontà di predominio sulle coscienze delle persone, che molti credenti, insieme a molti laici, sono contrari all’aborto, ma per il rispetto ad ogni vita umana, soprattutto nel caso della sua fragilità (nel concepimento e nella fase terminale). Faccia onore alla sua giovane età, e apra il cuore alla bellezza della vita e dell’atto di amore che la può generare. Ha affermato che il problema è anche una seria educazione all’amore, all’affetto e alla sessualità: su questa strada ci potremo certamente incontrare e trovare molti esempi edificanti e costruttivi. In questo mondo che sembra non avere più spazio per la speranza, sono necessari uomini e donne che la vivano, la testimonino e la facciano diventare un «principio» per tutti. Preferisco andare a riposare con la testa alta, certo di avere tentato di fare del bene, anche una sola goccia in questo oceano drammatico, piuttosto che pensare di avere, con il mio pensiero e comportamento, contribuito al male.
Con stima e rispetto

Don Gabriele Mangiarotti


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