Non partiamo come perdenti né come vincitori, ma come testimoni della verità
“Dopo duemila anni, il giudeo-cristianesimo ha fatto il suo tempo. Come con qualsiasi organismo vivente, arriva l’ora della morte. La nostra civiltà sta volgendo al termine. L’edificio giudaico-cristiano è aggredito come termiti nel quadro di una cattedrale. Arriva il giorno in cui la struttura in legno dell’edificio si sgretola in polvere”: con queste parole il filosofo Michel Onfray descrive la nostra epoca occidentale, di fronte agli attacchi sconsiderati alla storia e cultura cristiana. Ci sono persone buone che pensano che di fronte a questo sfascio bisogna rassegnarsi, evitando con cura atteggiamenti di lotta e di sfida, costruendo immaginari ponti che, se pure sappiamo da dove partono, trovano muri ben agguerriti che precludono ogni possibile punto di attracco. Ma tant’è, dobbiamo solo «porgere l’altra guancia», cancellando ogni e qualunque tentativo di riscossa. Che direbbero questi campioni del dialogo ad ogni costo di questo pensiero di papa Pio XII: «Noi apparteniamo alla chiesa militante, ed essa è militante, poiché sulla terra le potenze delle tenebre non si danno pace nel volerla distruggere»? Eppure, anche di fronte a quanto viene sbandierato come conquista di civiltà e nuovo diritto civile noi continueremo a dire che ogni vita è degna di essere vissuta e va rispettata, che il comandamento «Non uccidere» vale anche nel caso dell’aborto, che siamo contrari alla autodifesa di Caino «Sono forse io il custode di mio fratello?». Non abbiamo dimenticato quanto don Milani affermava tempo fa: «Ci vorrebbero ventimila sammarini per eliminare [gli imperialismi]. Il mondo cambierebbe radicalmente in meglio, sarebbero protette le culture e le identità. Sostanzialmente sarebbe protetta anche la pace, perché le guerre diverrebbero guerricciole» e sentiamo che il suo motto «I CARE» può pure diventare il nostro motto. In questi giorni qui in Repubblica si è aperta, a cura dei giovani democristiani, una mostra che oserei chiamare «profetica». Sin tratta della mostra, documentale e fotografica, dal titolo “Unione Europea, storia di un’amicizia” che fa rivivere, con i volti e le testimonianze dei protagonisti, De Gasperi, Adenauer e Schuman, il progetto di una amicizia tra uomini che è diventato esperienza politica nella costruzione dell’identità europea. Ed è bello che a promuovere questa iniziativa siano stati dei giovani, per di più impegnati in politica, con la connotazione di essere cristiani, mostrando in questo che la nostra piccola Repubblica non è poi così insignificante nel contesto mondiale ed europeo. E ha saputo valorizzare forze giovani, come del resto sono, per lo più, giovani coloro che ci governano. In questo contesto storico sappiamo allora vivere da protagonisti, pure sfidando la mentalità che vorrebbe vedere sconfitti i principi «non negoziabili» della nostra tradizione cristiana, testimoni della verità, certi che la sua forza potrà trasformare il mondo e «fare rifiorire il deserto», quello umano, dove l’egoismo e la menzogna sembrano volere avere l’ultima parola. Così non ci preoccupiamo se vinceremo o perderemo, perché l’esito delle libertà degli uomini non è in nostro potere, ma siamo solo tenaci testimoni di quella verità che, secondo la promessa di Gesù, ci farà autenticamente liberi.
Don Gabriele Mangiarotti
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