Eccellenze, Signore, Signori, abbiamo implorato: «Ascolta, o Dio, il mio grido, sii attento alla mia preghiera. Dai confini della terra io ti invoco» (Sal 61,2-3). La nostra preghiera davvero si fa grido. Raccoglie l’urlo di ogni Abele, fratello oppresso, insidiato e ucciso. «Dai confini della terra…». Tutti gli uomini sono davvero fratelli; desiderati, pensati, voluti, creati dall’unico Padre. Tutti fratelli: da quello che ci è accanto, a quello lontano, dall’anziano a quello appena concepito nel grembo. Oggi il grido si fa implorazione per la prova che attraversa il nostro paese e tutta l’umanità: il dramma del contagio e – altrettanto pericoloso – il contagio del dramma che condiziona pesantemente la socialità. Abbiamo vissuto due estremi. Da una parte il congedo solitario di una generazione di persone anziane, morte, per così dire, due volte, perché decedute in solitudine, private anche della cerimonia funebre e, dall’altra parte, abbiamo constatato come gli esseri umani siano capaci di replicare all’eccesso di male con un eccesso di bene, che si è tradotto in dedizione e cura, spinte fino ad una fedeltà eroica, fino al dono di sé! Ecco una risorsa di umanità che nessun insulto patologico è riuscito a cancellare: il bene non è un evento solitario, ma è qualcosa che si vive insieme, dove fede e speranza portano alla carità. La pandemia ha scavalcato tutte le recinzioni artificiali, mostrando – come ci ha ricordato papa Francesco – che siamo davvero «tutti sulla stessa barca» (cfr. Meditazione del Santo Padre, Sagrato della Basilica di San Pietro, 27 marzo 2020) e non possiamo continuare a contenderci qualche centimetro quadrato a poppa o a prua, nella noncuranza per la rotta da tenere in un mare in tempesta. «Siamo membra gli uni degli altri», direbbe san Paolo, che ricordava ai Corinti: «Vos non estis vestri (voi non vi appartenete)» (1Cor 6,19). Purtroppo, la realtà della interdipendenza e della solidarietà può essere minacciata dal virus dell’individualismo. Non si può essere “globali” nella finanza e non nella fraternità, nella circolazione delle merci e non nel riconoscimento della dignità, nel profitto e non nel welfare, nella libertà e non nella giustizia. Sì, c’è un’analogia fra il contagio virale della pandemia e il contagio globale dell’individualismo che trasmette l’attaccamento ai propri egoismi, anche negli “alveoli” dove avviene lo scambio tra pubblico e privato, tra noi e gli altri. Se siamo autonomi lo siamo non per essere soli, ma per condividere spiritualmente la fraternità, per ampliare in estensione ed in profondità le nostre capacità relazionali. Per questo, le sofferenze della pandemia non ci lasciano indifferenti. Ci siamo guardati bene dal rispondere all’appello della corresponsabilità con le parole di Caino: «Sono forse il custode di mio fratello?» (Gen 4,9). Tocca a noi liberare le risorse dell’amore fraterno. «Ho avuto fame, mi avete dato da mangiare; ho avuto sete, mi avete dato da bere; ero straniero e mi avete ospitato…». Rispondiamo: «Quando mai, Signore?». E Lui: «Ogni volta che avete fatto queste cose ad uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me» (cfr. Mt 25,35-40). San Marino, fondatore della nostra Repubblica, ha iniziato una tradizione di fraternità e di amore alla vita, di cui siamo fieri. La Repubblica ha saputo accogliere con generosità donne, uomini e famiglie in pericolo per la guerra e per forme di persecuzione. Ha una tradizione di rispetto per la vita e la libertà di ogni fratello, valori fondanti che non si vuole perdere. C’è a San Marino un popolo cristiano che ama e difende ogni vita, un popolo responsabile e intraprendente, che chiede alla politica, nella differenza dei ruoli e nel rispetto del dibattito istituzionale, di essere protagonista nella difesa del bene comune, certo che il primo bene è la vita del più debole e indifeso. «Sono forse il custode di mio fratello?». Noi tutti diciamo “sì”: «Sono custode di mio fratello, disposto ad allargare gli spazi della fraternità».
Diocesi di San Marino – Montefeltro