«L’Italia diventi superpotenza della nonviolenza, istituendo un Ministero della Pace, tagliando le spese militari, destinando le risorse ad un investimento strutturale sul servizio civile (ci sono 150.000 giovani in attesa) e sostenendo all’Onu il diritto alla Pace come diritto umano fondamentale».
È la proposta lanciata da Giovanni Ramonda, responsabile generale, durante l’assemblea annuale della Comunità Papa Giovanni XXIII fondata da don Oreste Benzi, in corso alla Fiera di Forlì sul tema “Le vie che portano alla pace”.
Per rendere attuabile questa proposta la Comunità propone al governo l’introduzione dell’opzione fiscale alle spese militari: «Se non ce la concederanno - sono le parole di Ramonda - faremo obiezione di coscienza».
Una proposta sostenuta da don Renato Sacco, coordinatore nazionale di Pax Christi, che è intervenuto alla convention. «62 persone possiedono la metà della ricchezza del mondo - ha sottolineato citando dati Oxfam -. Se la ricchezza è concentrata nelle mani di pochi, è chiaro che per difenderla servono le armi».
«L’Italia negli ultimi due anni ha triplicato la vendita di armi – ha proseguito – in particolare verso paesi in guerra. Dietro l’Isis ci sono Arabia Saudita e Qatar: noi vendiamo armi a loro. Il governo dice che è tutto regolare. Serve davvero un ministero della pace».
Tra gli ospiti intervenuti anche la teologa musulmana Sherhazad Housman che ha sottolineato come il primo modo per gettare ponti sia quello di conoscersi. «I 114 capitoli del Corano aprono tutti con la formula “Nel nome di Dio pienezza di amore e misericordia” – ha spiegato –. Dio onnipotente obbliga se stesso ad una sola cosa: l’amore».
La teologa ha sottolineato che molti punti possono unire mondo cristiano e musulmano. Ad esempio la figura di Maria, l’unica donna nominata nel Corano, «citata 34 volte». «Papa Francesco con il suo andare verso tutti ci sta indicando la via. Non solo ai cattolici ma a tutti», ha ribadito la teologa.
«La globalizzazione ha innescato una situazione di interdipendenza e interrelazione a livello mondiale – ha detto Mara Rossi, medico missionario, oggi rappresentante della Comunità Papa Giovanni XXIII all’ONU –. Il modello occidentale si sta imponendo come modello unico. Da noi prevale il diritto individuale, i paesi africani e arabi invece vedono la persona inserita nella comunità; è importante la sintesi tra queste due istanze. Dietro la cooperazione internazionale si cela spesso un tentativo di penetrazione non armata. Noi ci stiamo battendo perché non si facciano accordi che minino i diritti umani e stiamo promuovendo il diritto di solidarietà internazionale».
Alberto Capannini, ha portato la testimonianza della presenza di Operazione Colomba nel campo profughi di Tel Abbas in Libano, da cui è partito il primo corridoio umanitario promosso in collaborazione con Sant’Egidio e Chiesa Valdese. «È istruttivo osservare la guerra da una tenda. Solo il 25 maggio sono scoppiati 24 barili di esplosivi, sono stati lanciati 32 missili e sono stati uccisi 9 civili nelle dieci città siriane sotto assedio. In Italia non se ne parla ma la guerra non è finita, deve finire».
Toccante la testimonianza di Akram, uno dei profughi siriani arrivati in Italia con il corridoio umanitario. «Oggi sono felice perché i miei figli sono in un posto sicuro e vanno a scuola. I ragazzi di Operazione Colomba sono la nostra famiglia. È grazie a loro che siamo sopravvissuti».
È la proposta lanciata da Giovanni Ramonda, responsabile generale, durante l’assemblea annuale della Comunità Papa Giovanni XXIII fondata da don Oreste Benzi, in corso alla Fiera di Forlì sul tema “Le vie che portano alla pace”.
Per rendere attuabile questa proposta la Comunità propone al governo l’introduzione dell’opzione fiscale alle spese militari: «Se non ce la concederanno - sono le parole di Ramonda - faremo obiezione di coscienza».
Una proposta sostenuta da don Renato Sacco, coordinatore nazionale di Pax Christi, che è intervenuto alla convention. «62 persone possiedono la metà della ricchezza del mondo - ha sottolineato citando dati Oxfam -. Se la ricchezza è concentrata nelle mani di pochi, è chiaro che per difenderla servono le armi».
«L’Italia negli ultimi due anni ha triplicato la vendita di armi – ha proseguito – in particolare verso paesi in guerra. Dietro l’Isis ci sono Arabia Saudita e Qatar: noi vendiamo armi a loro. Il governo dice che è tutto regolare. Serve davvero un ministero della pace».
Tra gli ospiti intervenuti anche la teologa musulmana Sherhazad Housman che ha sottolineato come il primo modo per gettare ponti sia quello di conoscersi. «I 114 capitoli del Corano aprono tutti con la formula “Nel nome di Dio pienezza di amore e misericordia” – ha spiegato –. Dio onnipotente obbliga se stesso ad una sola cosa: l’amore».
La teologa ha sottolineato che molti punti possono unire mondo cristiano e musulmano. Ad esempio la figura di Maria, l’unica donna nominata nel Corano, «citata 34 volte». «Papa Francesco con il suo andare verso tutti ci sta indicando la via. Non solo ai cattolici ma a tutti», ha ribadito la teologa.
«La globalizzazione ha innescato una situazione di interdipendenza e interrelazione a livello mondiale – ha detto Mara Rossi, medico missionario, oggi rappresentante della Comunità Papa Giovanni XXIII all’ONU –. Il modello occidentale si sta imponendo come modello unico. Da noi prevale il diritto individuale, i paesi africani e arabi invece vedono la persona inserita nella comunità; è importante la sintesi tra queste due istanze. Dietro la cooperazione internazionale si cela spesso un tentativo di penetrazione non armata. Noi ci stiamo battendo perché non si facciano accordi che minino i diritti umani e stiamo promuovendo il diritto di solidarietà internazionale».
Alberto Capannini, ha portato la testimonianza della presenza di Operazione Colomba nel campo profughi di Tel Abbas in Libano, da cui è partito il primo corridoio umanitario promosso in collaborazione con Sant’Egidio e Chiesa Valdese. «È istruttivo osservare la guerra da una tenda. Solo il 25 maggio sono scoppiati 24 barili di esplosivi, sono stati lanciati 32 missili e sono stati uccisi 9 civili nelle dieci città siriane sotto assedio. In Italia non se ne parla ma la guerra non è finita, deve finire».
Toccante la testimonianza di Akram, uno dei profughi siriani arrivati in Italia con il corridoio umanitario. «Oggi sono felice perché i miei figli sono in un posto sicuro e vanno a scuola. I ragazzi di Operazione Colomba sono la nostra famiglia. È grazie a loro che siamo sopravvissuti».
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