Professore francese insegna la laicità. Aggredito, si dimette. Colleghi in sciopero. E tra noi?
È sempre interessante leggere gli articoli di Giulio Meotti, sul Foglio, come pure seguire i suoi interventi sui social. Oggi egli ha giustamente messo in evidenza la grave situazione che si ritrova nelle scuole (in tutto il mondo, ma in particolare in Francia) per la campagna violenta dell’islam integralista contro coloro che cercano di risvegliare le coscienze giovanili, per non cedere alla intolleranza di quell’islamismo che vuole sottomettere anche con la violenza le popolazioni che non condividono i loro principi. Certo, questo è un fatto gravissimo, ma è ancora più grave la «sottomissione» di tanti educatori che, per paura o per il quieto vivere, non si oppongono a questo processo, rendendolo inevitabile. Devo però ammettere che quanto riportato da Meotti mi fa pensare con sgomento a quanto sta accadendo nel nostro mondo, non ancora dominato dall’islamismo radicale. Possiamo dare un’occhiata all’informazione su quanto accaduto ora in America, per le elezioni presidenziali. Sembra il coro del pensiero unico nella condanna di Trump, senza neppure un briciolo di senso critico: notizie fotocopia, sia che si tratti di Avvenire o dell’Osservatore (a cui si affianca persino il Sussidiario), sia che si tratti di quelli che Padre Livio chiama «i giornaloni»: Corriere, Repubblica, Stampa e compagnia bella, il tutto condito dalle immagini e dai commenti televisivi che non fanno che sostenere quanto per partito preso si vuole inculcare nella mente nostra. Fino al ridicolo commento di Mentana che prende per vero uno spezzone di film del 2012, dove uomini col lanciafiamme attaccano il Campidoglio americano. Facebook, Twitter e i social di varia natura mettono sistematicamente il bavaglio a chi parla e pensa diversamente da quella che loro ritengono LA verità, e nessuno sa più reagire con lo sdegno dovuto. Una donna, madre di famiglia, disarmata, viene uccisa, e nessuno si indigna né si «mette in ginocchio». E di esempi simili se ne potrebbero fare migliaia. Non sarà forse il caso di ritrovare quella dignità che nel tempo passato avevano i martiri, oppure quella Chiesa che con tutti i mezzi testimoniava la verità, gridandola, pur se inascoltata, davanti al mondo incredulo? O imparare la lezione di quegli «intransigenti» che fondavano giornali per comunicare un giudizio vero, quel giudizio che nessuno del mondo laicista voleva ospitare? O dobbiamo continuare a pietire spazi a Repubblica, Vanity Fair o altre testate perché ci permettano di dire quello che loro vogliono sentirsi dire, per ritenersi poi aperti e veramente tolleranti? Caro Giulio Meotti, grazie ancora per quello che scrivi, e perdona se ho tirato il tuo articolo in una filippica contro la piaggeria dei nostri mass-media che sempre più diventa insopportabile, perché traditrice del cuore dell’uomo fatto per conoscere e testimoniare la verità: ci è caro il motto di tanti cristiani che nell’ora buia del totalitarismo si definivano «Ribelli per amore».
Ecco l’articolo di Giulio Meotti sul Foglio di oggi: «Le scuole sono oggetto di violente campagne islamiste in tutto il mondo: Pakistan, Kenya, Burkina Faso, Nigeria I Talebani hanno attaccato novecento scuole, secondo un rapporto dell’International Crisis Group. Boko Haram in Nigeria ha rapito centinaia di studenti: 520 a Kankara pochi giorni fa, l’ultima “preda”. L’Università di Garissa in Kenya è stata il bersaglio di un massacro, mentre sono più di duemila le scuole che in Burkina Faso hanno chiuso i battenti. In Francia c’è una guerra a bassa intensità finalizzata all’islamizzazione delle scuole. Tutto iniziò nel 1989 durante il bicentenario della Rivoluzione francese. Un liceo di Creil (Oise) aveva rifiutato l’ingresso a tre studentesse che indossavano il velo islamico. Sul Nouvel Observateur, diversi intellettuali come Alain Finkielkraut ed Elisabeth Badinter lanciarono un appello: “Insegnanti, non capitolate!”. Da allora, alcuni insegnanti si sono rifiutati di capitolare e uno, Samuel Paty, per questo ha pagato con la vita. Un altro insegnante è stato appena aggredito dopo una lezione sulla laicità. E’ accaduto nella scuola di Battières, a Lione, dove il docente è stato costretto ad abbandonare l’istituto dopo la reazione violenta del padre di due suoi alunni. La scuola è la stessa dove, vent’anni fa, aveva iniziato a insegnare proprio Paty, decapitato il 16 ottobre per aver mostrato in aula le vignette di Charlie Hebdo. Il nuovo docente avrebbe spiegato, tra le altre cose, che Emmanuel Macron non è islamofobo. Il padre ha affrontato l’insegnante in modo violento e, davanti a testimoni, avrebbe detto al professore ciò che poteva e ciò che non poteva dire agli alunni. Il docente si è trasferito in un’altra scuola. I colleghi sono entrati in sciopero per protestare contro la sua partenza e perché la situazione è tesissima. Nella borsa di uno dei due studenti è stato ritrovato anche un coltello. “E’ un insegnante apprezzato, che si fa riconoscere per la dedizione e la qualità delle lezioni”, raccontano a Libération i colleghi. Le stesse qualità che si diceva avesse Paty. Ieri Charlie Hebdo, di cui ricorre il sesto anniversario della strage, ha pubblicato un sondaggio di Ifop e della Fondazione Jean-Jaurès tra gli insegnanti sulle questioni della laicità. Uno su quattro dice di non sostenere la scelta di Paty di mostrare le caricature. Per evitare possibili incidenti in classe, un insegnante su due ammette di essersi già autocensurato. Un dato in aumento di 13 punti rispetto a quello dell’indagine Ifop-del 2018. Quasi la metà degli insegnanti delle scuole secondarie evita del tutto di parlare di argomenti sensibili. Nelle aree con un’elevata popolazione di immigrati, si arriva al 70 per cento. […] Soltanto negli ultimi tre mesi, un professore è stato decapitato, una studentessa ha dovuto abbandonare nuovamente la scuola (Mila), una accademica è stata minacciata di morte (all’Università di Aix-Marseille) e un altro insegnante ha appena rassegnato le dimissioni (Lione). Tutto a causa delle critiche all’islam. Non si può dire che non videro giusto gli intellettuali che nel 1989 denunciarono la “Monaco della scuola”.»
Don Gabriele Mangiarotti