Psd sul rapporto con l'Unione Europea: "siamo ad un bivio"
Per il PSD parla la Storia, una storia fatta di tanti momenti difficili, ma una storia nella quale le visioni relative ai temi cruciali per San Marino spesso sono state giuste, anzi pionieristiche; posizioni sulle quali poi a distanza di anni altri partiti si sono collocati, sia quelli che magari nutrivano delle leggere perplessità, sia quelli che fecero battaglie epiche per contrastarle, salvo poi diventarne i paladini ‘al cambio degli armadi’. Noi siamo ancora qua, il PSD è ancora qua, primi a parlare di San Marino nell’Unione Europea, la lettera a Barroso del 2007 nella quale si richiedeva di aderirne ne è la prova; tra i primi a intuire nel 2016 che qualcosa stava succedendo in quella banca Centrale, e infatti su quella visione si consumò la scissione che portò alla fuoriuscita di una grossa parte del partito, che poi diede vita a SSD e al Governo di Adesso.sm, e il PSD andò all’opposizione. Le considerazioni che presumibilmente saranno oggetto di dibattito nel prossimo Consiglio prenderanno in esame anche il mancato accordo con l’Italia del 2005. Anche in quella circostanza il PSD era compatto per il SI, e non è un comunicato del Gennaio 2022 che lo deve dimostrare, bensì gli atti del dibattito del 16 Novembre 2005, nei quali ogni singolo esponente del PSD dell’epoca (tra i quali l’unico che è ancora in Consiglio è Giuseppe Maria Morganti) sosteneva: “l’accordo va firmato!”. La relazione prodotta dalla commissione d’inchiesta sulle banche –che ricordiamo serve a far emergere le responsabilità politiche dietro ai dissesti bancari e finanziari– parla di “singola scelta politica più dannosa del decennio” il momento in cui il Consiglio Grande e Generale si oppose, in larga parte, alla firma di quell’accordo. Contraria una parte della DC, contraria AP, contraria Sinistra Unita, contraria Alleanza Nazionale, contrari i Popolari Sammarinesi, contrario il Gruppo Federativo Socialista, contrari i Sammarinesi per la Libertà. Il Governo Straordinario dell’epoca (PDCS e PSD) erano mesi che lavorava all’intesa con Roma e con l’accordo già parafato e il ministro degli Esteri italiano Gianfranco Fini già sull’aereo per venire a San Marino, quel 16 novembre 2005, la politica Sammarinese scelse la strada sbagliata. Scelse la strada che stracciò quello che era un accordo fondamentale per la nostra Repubblica, che avrebbe aperto una nuova epoca per il Paese, un’epoca di trasparenza, di integrazione e che ci avrebbe fatto uscire da quella zona d’ombra che per anni, la commissione l’ha ben ricordato, ha portato al Paese un benessere soltanto effimero. E la storia, i documenti, i verbali sono la magra consolazione a testimonianza del fatto che solo il PSD all’epoca capì l’importanza di questo accordo e che fece di tutto per portarlo a casa. Unico neo fu il Segretario agli Esteri Fabio Berardi, i cui legami però sono emersi chiaramente nella relazione relativa al crack di Banca CIS, e che spiegano il suo ‘poco entusiasmo’ nel dibattito che avrebbe dovuto aprire per San Marino la strada all’accordo con Roma. Gli effetti prodotti dalla “singola scelta politica più dannosa del decennio” sono ancora oggi sotto gli occhi di tutti. Oggi siamo di nuovo ad un bivio, questa volta con l’Unione Europea. Un bivio nel quale la politica non può più permettersi di sbagliare perché -oggi come allora- è inutile e dannoso rivendicare autonomia e sovranità, quando da più di vent’anni la strada maestra parla di integrazione, associazione, cooperazione e trasparenza.
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