Rappresentatività: basta privilegi ai sindacati!
Meglio sarebbe evitare forzature e prendersi del tempo per cercare di ammorbidire le posizioni, per scongiurare ulteriori tensioni in una fase affatto facile per il paese.
La legge affronta due tematiche delicate: la prima riguarda il principio sacrosanto dell’erga omnes nei contatti di lavoro, per fare in modo che in ogni settore ci sia un solo contratto che debba venir applicato da tutti i datori di lavoro per tutti i lavoratori.
Purtroppo questo principio viene strumentalizzato per un altro scopo: ridefinire gli equilibri tra le associazioni dei datori di lavoro e fra i sindacati.
La legge così come presentata crea un forte squilibrio: con alcuni articoli Iro Belluzzi ed il PSD consapevolmente e volontariamente favoriscono spudoratamente la CSU e ANIS, accentrando il potere in mano a queste sigle e mettendo all’angolo le altre. In questo modo le grandi aziende avranno man forte nello stabilire le relazioni contrattuali, non considerando le esigenze ed i problemi di un paese basato sulla piccola impresa. Su 5.202 attività economiche solo il 2,07% ha più di 20 dipendenti mentre l’89% delle attività che impiegano da 1 a 9 dipendenti, occupano quasi il 40% del totale.
Gli emendamenti presentati dal Movimento RETE e dal Movimento Civico 10 in commissione, alcuni dei quali ripresentabili in seconda lettura, mirano a ristabilire un equilibrio di pari opportunità e dignità di tutti i protagonisti del mondo del lavoro, senza favorire nessuno e soprattutto con l’ottica di evitare situazioni di conflitto!
Il secondo tema riguarda il finanziamento dei sindacati e in particolare lo 0,40% (o quota sociale): questo è un elemento caratteristico del legame del Paese con un sindacato
La quota sociale, infatti, non sarebbe in realtà nata come finanziamento dei sindacati ma di attività utili al sociale. E’ vero, come dice la CSU, che se la legge venisse approvata il 20% delle quote sociali destinato in misura paritaria a tutti i sindacati. Quello che non dice è che il restante 80% verrebbe suddiviso secondo un criterio di calcolo individuato dalle Organizzazioni sindacali: prevedendo lo strapotere che avrebbe la CSU è facile immaginare l’orientamento di questo calcolo!
Ad oggi, grazie allo 0,40% i sindacati incassano circa due milioni di euro all’anno, a cui va aggiunto anche il costo dei dipendenti pubblici distaccati a tempo pieno… più o meno altri 400.000 euro.
Lo vogliamo dire che i sindacati costano quasi il doppio della politica e che proprio lo 0,40% permette di garantire stipendi da favola a molti sindacalisti? Dal momento che molti lavoratori nemmeno sanno che questa cifra viene prelevata dalla loro busta paga, si potrebbe parlare di una sorta di finanziamento occulto dei sindacati. Molti pensano che la quota sociale sia obbligatoria. Non è cosi!
L’errore nasce dal fatto che l’attuale sistema prevede il silenzio assenso: questo automatismo va eliminato! Secondo noi trattenere dalla busta paga senza che ci sia un consenso consapevole rappresenta un metodo anacronistico di mantenere l’accentramento di privilegi che il paese non può più permettersi.
Dal momento che tale trattenuta va a finanziare un ente privato, a nostro avviso occorre richiedere quantomeno un assenso, togliendo l’automatismo e facendo sì che sia il lavoratore a scegliere come gestire lo 0,40%, formalizzando il suo assenso o dissenso anche ad ogni cambio di lavoro.
Se davvero l’obiettivo del progetto di legge è quello di tutelare i lavoratori, allora diventa necessario tutelare la loro piena disponibilità e autonomia sullo stipendio.
Altrimenti diciamo pure che la volontà non è quella di tutelare i lavoratori, quanto quella di piegare la legge agli interessi particolari di coloro che, come la CSU, non esitano a ricorrere agli agganci politici in aula pur di sbarazzarsi di quella che considerano come “concorrenza”.
Movimento RETE