C’era una volta un Congresso di Stato che funzionava come il consiglio di amministrazione di una grande azienda. Dava via le licenze per banche e finanziarie (pare ci fosse pure un vero e proprio tariffario della corruzione), decideva chi assumere e chi mandare via sia nel pubblico che nel privato, cambiava la destinazione d’uso di aree verdi per fare capannoni e condomini, concedeva le residenze a pioggia, elargiva detassazioni agli amici degli amici.
Insomma, si occupava di tutto, perfino dell’acquisto della carta igienica per i bagni pubblici. Bastava fare una delibera: ne uscivano centinaia ogni settimana, ma nessuno ci faceva caso.
Il potere era usato per fare soldi, i soldi usati per stare al potere.
Non è bastato neanche il crollo del “sistema San Marino” affinché il vento cambiasse.
Buona parte della politica è caduta nelle mani di una cricca “estero comandata” dal Lussemburgo che, attraverso infiltrazioni interne, ha messo le mani su quanto rimaneva del sistema bancario, inquinando il sistema istituzionale, politico e giudiziario.
La relazione della Commissione di inchiesta su banca Cis e sul sistema bancario dovrebbe essere riletta ogni tanto, visto che la lezione degli ultimi vent'anni non è stata sufficiente.
Il Congresso di Stato è tornato a fare il “padre e padrone” su tutte le decisioni vitali per il paese e, oltre a essere pericolosamente latitante nella risoluzione dei problemi, ne crea di nuovi. Qui sta la ragione dello svilimento del ruolo del Consiglio, messo in standby con il miraggio di una campagna elettorale che sembra non arrivare mai, ormai esautorato dalla funzione legislativa, delegittimato dal suo ruolo di controllo perché il governo non risponde, non si confronta, non condivide.
Sono mesi che gli stessi decreti vengono emanati, lasciati scadere e poi di nuovo emanati due, tre, quattro volte. Il motivo? Disorganizzazione e sciatteria istituzionale imperano ad ogni seduta.
È lampante la differenza da quando RETE era in maggioranza, ad accertarsi che le scadenze venissero rispettate e che si lavorasse rispettando gli equilibri. A decidere del futuro del paese, oggi, sono i ricatti degli uni verso gli altri: “Se non fai come dico, non entri nel prossimo governo”; “Se non mi fai fare quello che mi pare, non voto la tua legge”.
Sarebbe riduttivo banalizzare la dinamica riducendola a una diatriba tra forze politiche, la posta in gioco è ben più alta: le delibere approvate dal Congresso di Stato hanno un impatto diretto sulla popolazione e quando vengono usate per aggirare le leggi ed elargire favori, le conseguenze ricadono su tutti.
La politica deve lavorare nell’interesse collettivo, non per favori, capricci, ripicche. Se poi ci vogliamo mettere un po’ di competenza e di buonafede, il risultato può solo migliorare.
La strada è dura, ma non ci spaventa e di certo non ci arrendiamo.
Comunicato stampa
Movimento RETE