Rete sulla sentenza Conto Mazzini: "Ci si deve interrogare su cosa non abbia funzionato"
La sentenza del “Conto Mazzini” ha visto l’assoluzione della quasi totalità degli imputati poiché la maggior parte dei reati è risultata prescritta. Un esito che lascia l’amaro in bocca.
Il processo ha certificato le tangenti prese da una classe politica corrotta che andava emarginata molto prima, quella dell’asse DC - PS e dagli addentellati PSD e UPR, oggi sciolto nella sigla di RF.
Ci si chiede come sia possibile che solo dopo anni, al secondo grado, un giudice possa rendersi conto che i reati su cui verteva il processo fossero prescritti prima della partenza, o addirittura in alcuni casi reati non punibili perché commessi prima che fossero realizzate le leggi che ne avrebbero punito le condotte. Ci si chiede come il giudice Buriani prima, e il giudice Felici poi, abbiano potuto non rendersene conto.
Così la commissione d’inchiesta ci conferma la corruzione dilagante di una stagione politica recente, la sentenza di secondo grado conferma anch’essa le condotte illecite ma non può punirle perché in alcuni casi è trascorso troppo tempo, in altri, il tempo, era addirittura scaduto prima di iniziare. Se però alcuni capi di imputazione risultavano già prescritti, le lungaggini delle fasi processuali hanno permesso che anche gli altri cadessero in prescrizione.
Ci si deve interrogare su cosa non abbia funzionato.
Come è stata svolta la fase inquisitoria? Vi erano elementi solidi al fine di sostenere i capi di imputazione?
Come mai il giudice Gilberto Felici ha fatto trascorrere addirittura un anno fra la sentenza di primo grado – risalente al 29 giugno 2017 – e il deposito delle motivazioni, avvenuto il 19 giugno 2018?
Come mai il giudice Caprioli ha impiegato oltre tre anni dalla presa in carico del processo di II grado per giungere ad emettere la sentenza di cui oggi discutiamo, addirittura subordinandone la celebrazione alla presa d’atto di due giudici d’appello?
Queste lungaggini hanno per caso consentito ad alcuni reati di andare in prescrizione? Perché in tal caso vi sarebbero precise responsabilità da mettere sul piatto!
Ciò che oggi rimane, è solamente la confisca di 9,5 milioni di euro proventi di illeciti che tuttavia il nostro tribunale non è stato in grado di condannare in tempo.
Confidiamo che la condanna politica di condotte che hanno indebolito il paese rimanga unanime, e che non vi sia chi voglia interpretare questa sentenza come un’assoluzione della corruzione dilagante in quel periodo storico ben circoscritto. Confidiamo, nonostante qualche “partito” abbia già iniziato a fare del populismo su una sentenza di cui sono parte molti dei suoi padrini storici, che la politica sappia una volta tanto smettere di fare propaganda e unirsi nella condanna di un’impunità dettata da inadempienze. Alcuni giudici, molto attivi in politica anche oggi, dovrebbero farsi un’esame di coscienza e riconoscersi come parte del problema.
Per evitare che in futuro si ripetano processi troppo lunghi con il rischio di impunità, in questi anni abbiamo portato provvedimenti che eviteranno che i processi cadano in prescrizione.
La politica può fornire gli strumenti alla giustizia, ma poi i processi li fanno i giudici e il tribunale, mentre la politica ne deve restare fuori. Spiace che Libera voglia usare populisticamente anche una pagina così triste del nostro paese, non avendo sensibilità per null’altro che il trovare un posto al governo, qualsiasi governo, con qualsiasi alleato.
Siamo certi che crescendo, anche Libera capirà che oltre a un ruolo c’è anche un paese nel quale il senso di giustizia, che questa sentenza tristemente incrina, dovrebbe essere la stella polare di ogni attività politica.
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Comunicato stampa
Movimento RETE